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Altalenando, sapori e memorie di Pina Sofia

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Gli interventi della rubrica “Altalenando” sono curati dall’Adic, l’associazione donne insegnanti calabresi.

Altre riflessioni su ” Sapori e memorie” di Pina Sofia

I Racconti

I racconti del libro di Pina Sofia si muovono attorno a dei cardini precisi: la terra, il paese, la casa, la famiglia, il cibo, il mare.

A loro sono legati dei riti che li rendono pieni di dolcezza e nostalgia per l’autrice e il lettore.

Pina ce li presenta con la vivacità del ricordo, non come cose passate e relegate a tempi remoti, ma come cose vive piene di significato e che non vogliono e non possono morire.

Il cibo ha i suoi riti, i suoi ambienti, i suoi attori principali e secondari, le sue tecniche, i suoi tempi, i suoi fruitori. Il cibo è per Pina sinonimo di salute, quando gli ingredienti in uso sono genuini.

Nel raccontare Pina si sofferma via via sui limoni del maestro e ne esalta le qualità terapeutiche; ci descrive la vigna del nonno che offriva malvasia e zibibbo sui terrazzamenti rubati alla terra scoscesa.

Il pranzo si accompagnava col vino speciale del nonno ed era allietato dagli stornelli d’amore. La preparazione del pane nel ricordo di Pina era il gioco con la pasta lievitata e la pizza gustata calda calda.

La dispensa del nonno, chiusa debitamente a chiave, era la stanza delle sorprese: c’erano caramelle, orzata, salumi, vino, conserve, confettini e uva passa. Ai nipotini era concesso gustarli con uno stratagemma, entrare da una finestrella sorretti dall’amore della nonna. Così i bimbi si impossessavano dei tesori del nonno.
Proprio con la complicità del nonno, invece, la piccola Pina gustava le pere grandi e le perine piccole come ciliegine, i fichi..mentre salivano verso Melia, lungo i gradini di pietra o i solchi segnati dal tempo. All’arrivo il pranzo era a base di frittata, carne di maiale e pecorino, buona sostanza per i bimbi stanchi per la salita.

Verso la fine del libro c’è un racconto che non sembra resoconto di un fatto reale: negli orti vicino al cimitero del paese un fantasma si aggirava la notte e faceva scomparire le verdure. Era Carminedda, donna intelligente, ma vagabonda, che aveva architettato i furti ripetuti, certa che nessuno si sarebbe messo a tu per tu col fantasma.

Il bisogno le aveva fatto mettere in atto quest’espediente e solo il saggio del paese aveva capito l’origine dei furti. È un racconto surreale, ma ricco di vivacità e fascino.

La pasquetta era l’esaltazione dei “maccarruni i zita” col ragù che si accompagnavano alla parmigiana e alle uova infornate e dipinte dai bambini. Il pranzo finiva con i “cudduraci” , dolci con le uova e ornati di confetti colorati.

L’ultimo racconto è il racconto di una ragazza che nella “gurna” della fiumara batteva i piedi forte forte per far schizzare l’acqua fino al viso e saltando sulle pietre arrivava a toccare l’acqua salata del mare. Con la sorella più grande faceva le barchette di carta e le affidava al mare con i propri segreti.

A distanza di tempo Pina ha vissuto i sogni di piccola e ha fatto ancora schizzare l’acqua non fino al viso, stando sempre seduta su quella pietra e facendo vagare i suoi pensieri.

Mi piace molto questo racconto ricco di tenerezza, di gioia, di stupore verso l’abbraccio del mare o i pesci dai colori dell’arcobaleno.

C’è una certezza in tutto il libro: l’uomo è come l’albero, non vive se non ha radici. Il passato non puo’ morire perché è da lì che veniamo e di passato siamo fatti.

Si respira nei racconti di Pina una poesia che si ripete: anche se il tema cambia, viene presentato con sentimento e chiarezza, come se anche noi lettori ci trovassimo a vivere coi personaggi e le cose descritte.

La presenza contemporanea di racconti, nomenclatura, ricette ha, nel libro di Pina, una fusione mirabile che lo rende interessante da tanti punti di vista: ne nasce un volume originale che va studiato e scoperto nelle sue varie sfaccettature e certamente non puo’ essere relegato a puro libro…….di ricette.

Liù Frascà

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