HomeCulturaStruncatura: la ricostruzione storica di Pino Sciarrone

Struncatura: la ricostruzione storica di Pino Sciarrone

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Riceviamo e pubblichiamo:
Cari amici, ho pensato, al di là di ogni riserva mentale, di dirvi quello che so sulla “Stroncatura”. Riferendomi, naturalmente, non a una recensione che demolisce un autore, ma a qualcosa che ci riguarda più da vicino, e cioè, a quella particolare pasta alimentare che si consumava nei primi decenni del secolo scorso fino ai giorni nostri.

Questo, giusto per fare un poco di chiarezza e spianare la strada alla verità. Di fatto, considerazioni, se non addirittura affermazioni fallaci, ne ho sentite parecchie.

Essa, secondo alcuni, sarebbe una sorta di prodotto ricavato dal recupero delle farine cadute sul lastricato durante la lavorazione e, più o meno, mischiate con residui di crusca od altro.
Per quanto il tenore di igiene non poteva essere pari a quello regolato dalle odierne normative, mai e poi mai, i saggi uomini che ci hanno preceduto, avrebbero portato sulla mensa (anche dei più poveri) ciò che era finito sulle lastre del pavimento!

Nei primi decenni del secolo scorso i Gargano, originari di Atrani e presenti nel nostro territorio fin dal 700, come armatori prima e commercianti dopo, decisero assieme agli Aloia e ai Pisani di fondare il primo e unico pastificio della provincia. La sede era nell’edificio sito ancora oggi al numero civico 19 della via Commercio a Gioia Tauro. La società che lo gestiva era la Sagap (Società Alimentari Gargano Aloia Pisani). Era precisamente il 1928 a fianco al pastificio Il Mulino, di fronte la Fabbrica di liquori diretta dai Vissicchio, e ancora di fronte, sul lato sinistro, la Torrefazione del caffè. Quest’ultima si attuava all’interno di quel maestoso edificio che, proprio io, mi sono pregiato di restaurare ad integrum, nonostante le tante gratuite difficoltà.

Questo edificio in verità era stato costruito alla fine dell’800 per essere primariamente un deposito di olio, tant’è che ancora oggi sono in situ molteplici cisterne, quindi magazzino di derrate alimentari, giusto per adeguarsi alla nuova logistica commerciale (i trasporti, infatti, non avvenivano più via mare, bensì sulle rotaie della vicinissima ferrovia): i vagoni-merci venivano scaricati di tutti gli alimenti provenienti dal nord e dalla Campania, e ricaricati, appunto, di olio, legname, agrumi e quant’altro la nostra terra potesse produrre.

Il consumo pro capite di pasta, proveniente da Torre Annunziata e dintorni, era veramente notevole, cosicché, i Gargano e company, in linea con un progetto di espansione commerciale, pensarono bene di allestire un pastificio in loco.

Vi dicevo prima di quell’edificio restaurato da me, perchè in questo era presente il cosiddetto “suppigno”. Era questo un piano soppalcato e ancora oggi arieggiato da finestre circolari. Cosa c’entra il suppigno col pastificio situato di fronte? I lunghi fili di pasta che uscivano dalle filiere dovevano essere sottoposti ad essiccazione, pertanto, venivano messi a cavallo di lunghi bastoni di legno che venivano trasportati dagli operai addetti, uno per ogni mano e con le braccia tese in alto, attraversando quella strada, fino a quel famoso suppigno. Quei fili di pasta però non erano tutti della stessa misura, e intanto, per essere commercializzati, dovevano essere prima confezionati: confezioni di carta celeste posta in obliquo! Era inevitabile che quei lunghi filari di pasta venissero stroncati nelle loro estremità irregolari per consentire l’incartamento.

Al mattino successivo, dopo una notte di essiccazione, giusto quando in fabbrica era necessario sturare e liberare i filtri del pastificio per la nuova produzione del giorno, quei segmenti irregolari di pasta semidura venivano “impallati” con le mani e resi più malleabili aggiungendo dell’olio d’oliva.

Questo “pastone” veniva inserito a forza nella macchina e spinto in quel peculiare meccanismo fino all’uscita. Alla stessa guisa di una palla di spugna spinta in una condotta come per sturarla. Naturalmente, uscendo, aveva ancora una volta la forma della pasta filata ma, con gli inevitabili difetti: a) essendo semidura usciva dalla filiera molto sfrangiata sui bordi; b) essendo parzialmente ossidata dall’aria presentava un colore più scuro; c) avendo subito una doppia essiccazione risultava più “callosa” del solito.

Essendo una pasta che aveva avuto uno scopo tecnico, ora, anziché essere buttata via, poteva ancora una volta servire per sfamare qualcuno. Per i condimenti ognuno ce la metteva tutta ma, nel rispetto della povertà, bastava una “stampa” di olio d’oliva, quattro alici salate e tanto, tantissimo, pepe pestato!

Ma di chi è la Stroncatura? L’unico pastificio in tutta la provincia come ho già detto era questo della Sagap.

I “carrettieri” e i “bastasi” (i facchini) di Gioia Tauro furono i primi consumatori di quella specialità.

P.s. Questo edificio, sebbene deturpato dal tempo e dalle mille modifiche della facciata e degli interni, a guardarlo con l’occhio dell’esperto, magari uscendo dal negozio degli Esposito, appare ancora oggi in tutta la sua simmetrica maestosità. Chissà perchè non è stato ancora… demolito!

Mi è doveroso ringraziare per la gentile disponibilità il Dott. Antonio Gargano.

Pino Sciarrone

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