L’esercizio fisico finalizzato al benessere, piuttosto che come attività amatoriale, ed a maggior ragione quando esso diventa sport professionistico ed evento di intrattenimento, è regolato da un insieme di norme che ne rendono possibile la pratica. Queste regole e regolamenti devono essere accettati da tutte le parti coinvolte, o, nel peggiore dei casi, vanno imposti loro prima dell’inizio del gioco.
Il termine gioco è diventato il modo preferito per indicare lo sport nella maggior parte delle lingue europee. Gli sportivi che decidono di partecipare ai giochi accettano consapevolmente il rischio intrinseco associato a tali attività. Per questo motivo, si presume che si siano adeguatamente allenati. Tuttavia, il gioco o l’impegno fisico, nel contesto dell’educazione fisica, non devono incentivare il pericolo.
Nel contesto del gioco professionistico moderno, le regole disciplinari di ogni disciplina hanno un impatto significativo su molte persone che traggono il proprio sostentamento da tali attività. È per questo che le decisioni delle commissioni disciplinari delle federazioni sportive, nazionali o internazionali, possono e devono essere contestate anche in sede giudiziaria: le sanzioni imposte hanno ormai conseguenze economiche dirette su chi ne è colpito.
L’autonomia dello sport è certamente un principio fondamentale, ma essa deve essere esercitata nel rispetto del bene e dell’interesse pubblico, che restano sovrani.
La struttura del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) fu stabilita da Pierre de Coubertin nel 1894. Gli stati membri erano inizialmente indipendenti dai rispettivi governi e rappresentavano il movimento olimpico all’interno del proprio paese, più che il proprio paese all’interno del CIO.
A metà del XX secolo, il CIO stabilì, tramite la Carta Olimpica, che i Comitati Olimpici Nazionali dovessero essere autonomi dai governi, sia dal punto di vista politico che legale, nonché dalle autorità economiche o religiose. Inoltre, il CIO ha riconosciuto l’autonomia delle federazioni sportive internazionali, che operano indipendentemente da esso, salvo quanto previsto dalla Carta Olimpica e dal Codice mondiale antidoping.
All’inizio degli anni ’80, il costante aumento delle controversie sportive internazionali e l’assenza di un’autorità indipendente, specializzata in questioni sportive e legittimata a pronunciarsi con decisioni vincolanti, spinsero le principali organizzazioni sportive a riflettere sulla necessità di una risoluzione efficace delle controversie.
Fu così che, nel 1983, il CIO istituì il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS/CAS), con lo scopo di affrontare il crescente numero di controversie sportive internazionali e offrire un foro specializzato e indipendente per la loro risoluzione.
L’essenza della legge è da sempre quella di mantenere l’ordine ed evitare l’anarchia nella società. Possiamo estendere questo concetto affermando che la legge mira anche a controllare ogni forma di violenza, proteggendo gli individui da danni fisici e salvaguardando i valori fondamentali della società. Inoltre, mira a punire i trasgressori in modo da disincentivare comportamenti simili in futuro.
L’aumento delle cause civili e penali legate allo sport, in paesi con leggi e sistemi giuridici differenti, ha portato i governi ad applicare le proprie normative e sistemi giudiziari anche in ambito sportivo. Così, il diritto sportivo ha assunto forme diverse: interno, nazionale, europeo, internazionale e globale.
Purtroppo, i costi elevati delle controversie presso il tribunale TAS/CAS, la mancanza di una legislazione specifica e di giudici specializzati in ambito sportivo in molti paesi, la negligenza delle federazioni e l’inadeguatezza giuridica dei loro comitati disciplinari, unitamente allo scostamento dello sport dal suo obiettivo originario del fair play verso una dimensione meramente commerciale, sono tra le cause principali di decisioni ingiuste e poco professionali nei casi trattati dai tribunali nazionali.