PALMI – Il pezzo forte arriva sempre alla fine e così anche quest’oggi, al termine dell’udienza del processo che vede coinvolta una grossa fetta della cosca rosarnese dei Pesce, il Pubblico Ministero della Dda di Reggio Calabria, titolare dell’inchiesta, Alessandra Cerreti, ha prodotto nuova documentazione che ha depositato presso il Tribunale di Palmi, affinché venga acquisita ai fini processuali.
Quattro nuove missive «con pressioni e minacce» indirizzate a Giuseppina Pesce, la collaboratrice di giustizia coimputata nel processo “All Inside”, inviate dal marito Rocco Palaia, da una delle figlie e dal cognato.
Le lettere sono state consegnate alla dottoressa Cerreti dalla collaboratrice lo scorso 27 settembre, durante un colloquio nel carcere in cui la Pesce si trova rinchiusa, la cui località è segreta.
Due lettere del marito, una del 24 giugno scorso e l’altra del 18 luglio, in cui Palaia porrebbe sotto pressione la moglie, in seguito alla scelta di collaborare con la giustizia.

L’uomo, secondo quanto riportato dal Pubblico Ministero, userebbe toni forti nei confronti della moglie, che alterna a delle sorta di rassicurazioni, quasi a volerla convincere a cambiare nuovamente idea. In una delle due lettere, sarebbe esplicito il riferimento alla vicenda di Maria Concetta Cacciola, la collaboratrice di giustizia morta suicida il 22 agosto scorso, in seguito alle pressioni della famiglia.
Le altre due lettere depositate dal Pubblico Ministero, sono entrambe del 18 luglio e sono state inviata a Giuseppina Pesce dalla figlia sedicenne e dal cognato Gianluca Palaia.
Lettere anche queste che «colpiscono la Pesce negli affetti più cari», ha commentato la dottoressa Cerreti.
Durante l’udienza, dopo la richiesta del Pubblico Ministero di acquisizione dei nuovi documenti, dal carcere romano di Rebibbia in cui si trova a scontare la pena dell’ergastolo, Giuseppe Ferraro, zio di Giuseppina Pesce, ha chiesto di intervenire rendendo dichiarazioni spontanee.
«Mi trovo a dover scontare la pena dell’ergastolo e non so perché – ha detto l’uomo, che ha poi aggiunto – Ho avuto uno scambio di lettere con mia nipote, lei mi diceva che i magistrati non le lasciano vedere i figli. Io le ho risposto a queste lettere, perché il Pubblico Ministero non le deposita presso il Tribunale? Perché a mia nipote non sono mai arrivate?»
L’udienza di oggi si è concentrata sul contro esame del Maresciallo della Finanza del Gico di Catanzaro, Antonio Donato, teste citato dal Pubblico Ministero. Nel corso della prossima udienza, venerdì mattina, si proseguirà con il contro esame dello stesso teste, a cui anche la Corte (Epifanio presidente, Ciollaro e Crea a latere) vorrà porre alcune domande.
Viviana Minasi