Hanno gli occhi pieni di terrore, lo sguardo perso nel vuoto. I superstiti vagano sulla spiaggia fradici e impauriti, sul volto i segni dei colpi presi quando sono finiti tra le onde dopo che il barcone si è frantumato in mille pezzi.
Non parlano. Qualcuno urla tutta la sua disperazione: «Dove sono i nostri figli? Siamo venuti fino a qui per vederli morire. Non si può resistere ad un dolore così intenso».
Speravano di costruirsi una vita migliore, quando sono partiti dalla Turchia, e ora in molti si chiedono perché loro ne hanno ancora una e le persone che amavano non più.
Sono 81 quelli che si sono salvati dall’ennesima tragedia della disperazione e tra di loro ci sono una ventina di minori che sono stati portati, per accertamenti, nell’ospedale di Crotone. Quando i soccorritori sono arrivati sulla spiaggia di Cutro, li hanno trovati che si aggiravano come fantasmi, molti erano ancora in acqua. Subito hanno dato loro le coperte termiche per evitare che andassero in ipotermia e che sono state poi sostituite da coperte più pesanti e da una bevanda calda.
Con i pullman i sopravvissuti sono stati trasferiti dalla spiaggia al Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto. Sono di varie nazionalità: vengono da Iraq, Iran, Afghanistan, Siria. Paesi martoriati da guerre e soprusi. Ma i loro racconti, fatti attraverso gli interpreti, sono tutti uguali e sono drammatici.
«La mia sorellina è andata giù nel mare – dice un ragazzo al mediatore che cerca di tranquillizzarlo – Era accanto a me e ad un certo punto non l’ho vista più. Adesso è su, nel cielo».
È andata molto meglio invece ad un bambino che continuava a girare come una trottola, con gli occhi impauriti. Un’infermiera ha capito che il piccolo stava cercando la madre senza riuscire a trovarla: ha smosso i suoi colleghi e alla fine hanno individuato la donna, che si è potuta così ricongiungere al figlio. Una volta capito di esser salvi, il dolore è esploso.
Nel centro di accoglienza i naufraghi continuano a piangere senza parlare, accomunati nella disperazione e ancora avvolti nelle coperte dopo essersi finalmente liberati dei vestiti bagnati. In molti hanno ancora ferite sanguinanti sul volto, sulle mani e sulle gambe. Sulla schiena. Una donna con il naso fratturato continua disperatamente a gridare nome del figlio. Ma nessuno risponde e nessuno riesce a farla smettere.
La stessa disperazione di due uomini, padre e zio, che sono usciti dall’acqua con un neonato tenuto il più in alto possibile sperando di salvarlo. Non ci sono riusciti.
La Croce rossa, insieme al Comune di Crotone, ha attivato le squadre di assistenza psicologica sia per i sopravvissuti ospitati al Cara che per le persone ricoverate in ospedale. Un lavoro importante per dare conforto a persone che vivono una condizione di profondo dolore. È stato attivato anche un supporto psicologico anche per i soccorritori, che hanno dovuto recuperare decine di cadaveri in mare ed erano provati da un lavoro estenuante e doloroso.
I team di Medici senza Frontiere da stamattina stanno assistendo i sopravvissuti.
«Sono tutti sconvolti – sottolineano – ci sono tanti nuclei familiari e ognuno ha perso qualcuno». I volontari si stanno occupando di esigenze basiche, come riuscire a telefonare a casa. «Chiamare per dire che si è vivi. O anche – dicono abbassando lo sguardo – per dire che un figlio, un familiare, non c’è più».