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A Palmi la storia di Kajin e della vita nel campo di Idomeni

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“Dov’è la vita?”: molto più di una domanda, molto più di un invito alla riflessione su chi siamo e cosa facciamo per sentirci davvero vivi, reali. “Dov’è la vita”? La vita è sotto il tetto di una casa, dove ogni giorno un padre ed una madre risvegliano con un bacio i loro figli, li accompagnano a scuola e poi in palestra, preparano loro la cena e li accompagnano a letto. La vita è dove c’è amore, dove c’è pace.

Ma il miracolo della vita può manifestarsi anche dentro la tenda di un campo di accoglienza per profughi, fuggiti da una guerra atroce alla ricerca di un posto sicuro in cui ricostruire una famiglia.

Quel miracolo si chiama Kajin, che in siriano significa proprio “dov’è la vita”. Kajin è una bambina concepita nel campo profughi di Idomeni, una località della Grecia al confine con la Macedonia dove i profughi in fuga dalla guerra in Siria sono stati bloccati nel 2015 a causa della chiusura delle frontiere europee.

Di Kajin, dei suoi genitori, dei tanti volti incontrati tra Idomeni e Oreokstro, ha parlato Enzo Infantino nel suo libro dal titolo “Kajin e la tenda sotto la Luna”, scritto a quattro mani con Tania Paolino e presentato ieri sera a Palmi, in un salone Pio X gremito.

Le immagini del documentario “Kajin, dov’è la vita?” hanno aperto la serata; immagini di un popolo che è sopravvissuto alle bombe in Siria lasciando la terra d’origine, e che si è ritrovato rinchiuso in un campo delimitato da filo spinato e muri di protezione, sotto l’occhio vigile della gendarmeria in uno degli Stati della “civilissima” Europa che, in piena crisi, ha deciso di chiudere le frontiere e non accogliere più i siriani in fuga.

Con commozione ed un pizzico di orgoglio, Enzo Infantino ha raccontato la sua esperienza nei campi d’accoglienza, un cammino lungo iniziato nel 1999 in Albania, ai tempi della guerra in Kosovo.

“Ho sposato da sempre la causa dei più deboli – ha detto Infantino – Mi sono spinto in queste terre difficili con curiosità ed umanità, per capire cosa significasse per un popolo vivere lontano dalla propria terra, nella disperazione di una condizione di assoluta incertezza e di paura. Paura per sé, per i propri figli, per i familiari e gli amici rimasti a casa sotto le bombe”.

Così nel 2015, insieme ad alcuni volontari, Enzo Infantino ha dato vita alla “Carovana Resistente e Solidale”, che per mesi ha fatto la spola dalla Calabria alla Grecia, portando aiuti materiali e soprattutto conforto e speranza tra i profughi siriani.

“Il mio viaggio solidale ha avuto origine ad Idomeni, con l’intento di denunciare ciò che accadeva in quel periodo in Siria ma anche ciò che l’Europa non è riuscita a garantire ai profughi – ha aggiunto Infantino – Lì, tra la disperazione e la paura, ho trovato una grande umanità: ho conosciuto persone che hanno lasciato, anche per poco tempo, la propria casa, la propria famiglia ed il proprio lavoro, per portare aiuto e solidarietà”.

E a Idomeni Enzo Infantino ha conosciuto Mosa e visto nascere la vita, sua figlia Kajin, per la quale il padre ha già scelto il futuro: vuole che da grande diventi un architetto e che ricostruisca Aleppo, città natale di Mosa distrutta durante la guerra.

Ma a rapire il cuore di Enzo è stato Masun, un bambino di 8 anni fuggito dalla Siria insieme alla mamma ed alle due sorelle, con la speranza di giungere in Germania dove si trova il padre. Masun ha viaggiato per giorni e giorni con uno zaino in spalla, ha attraversato montagne innevate ed affrontato il gelo dell’inverno, per giungere stremato a Idomeni, dove si è infranto il suo sogno di raggiungere il padre.

“La Germania, ad un certo punto, ha deciso di chiudere le frontiere e di impedire l’accesso ai profughi siriani – ha raccontato Enzo Infantino – E così Masun e la sua famiglia sono rimasti ad Idomeni, dove il piccolo si è preso cura delle sorelle e dalla mamma. Un bambino di soli 8 anni che, consapevole dell’assenza del padre, ha indossato i panni dell’uomo di casa”.

Enzo ha deciso di “adottare” Masun e la sua famiglia, promettendo loro di aiutarli a raggiungere il padre in Germania; si è interessato delle pratiche per ottenere i documenti per il ricongiungimento familiare e quando a Febbraio ha ricevuto un messaggio da Masun, con cui lo informava che i documenti erano pronti, Enzo non ci ha pensato due volte: è partito a Idomeni, ha organizzato il viaggio per Francoforte ed accompagnato la famiglia di Masun dal padre.

“Una gioia immensa, un’emozione indescrivibile che mi hanno fatto capire che c’è ancora tanta speranza”, ha concluso Infantino.

Il dibattito è stato moderato dal giornalista Arcangelo Badolati, che in apertura ha fornito una ricostruzione precisa della situazione in Medioriente, oscura ai più per via di una scarsa informazione giornalistica; Salvatore Costantino ha fornito un interessante punto di vista delle storie raccontate da Enzo Infantino nel libro, mentre Tania Paolino ha raccontato come è nata l’idea di questa collaborazione e della scrittura del libro.

A fare gli onori di casa, Don Silvio Mesiti, che ha ringraziato Enzo Infantino per la sua testimonianza.

Con il ricavato dalla vendita del libro verranno finanziati progetti di ricostruzione postbellica in Siria.

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