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Molto rumore per nulla

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“Il giorno è terminato, il sole è calato
Dai laghi, dalle colline e dal cielo
Tutto va bene, riposa in pace
Dio è vicino”.
Dal testo de Il Silenzio

Sembra che noi Italiani eccelliamo in due pratiche sportive: fare dietrologia e polemizzare,
allettati anche dalla risonanza mediatica che l’uno e l’altro sono capaci di alimentare.
L’onda anomala di questo incontro di correnti del pensiero si è abbattuta, questa volta, sul
termine “sobrietà”, che, certamente, dal 25 aprile 2025, si è guadagnato il suo posto
privilegiato nelle citazioni esemplificative dei futuri dizionari della lingua italiana e, meglio
ancora, nelle ricerche affidate a qualsiasi motore di ricerca.
Il fatto, per come riportato, è noto: l’invito ad essere “sobri” nelle manifestazioni pubbliche,
in seguito alla morte di Papa Francesco.
Da qui è bastato poco per rilanciare l’equazione sobrietà=annullamento dei festeggiamenti
per il 25 aprile e ad innescare la polemica, mista alla dietrologia, di quanti hanno
interpretato tale affermazione come la manifestazione della volontà del Governo di oscurare
le cerimonie per l’ottantesimo Anniversario della Liberazione e di non onorare la memoria
dei partigiani, soprattutto d’ispirazione comunista, che quella liberazione contribuirono a
conquistare.
Per indole e per formazione, sono abituata a riflettere, a ponderare e ad informarmi prima di
esprimere le mie opinioni e, per esperienza anche professionale, so che il piatto della
bilancia non scende quasi mai di scatto da un lato solo.
Facciamo un passo indietro, riportandoci al Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri
n.125 del 22 aprile 2025, interamente consultabile al link:
https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-
125/28270
Nei quattordici minuti della riunione, tenutasi il giorno dopo la scomparsa di Papa
Francesco e occasionata dall’urgenza di predisporre, con apposito decreto-legge, idonee
misure ai fini dell’organizzazione e della gestione dei funerali del Santo Padre, il Consiglio
dei Ministri ha proclamato il lutto nazionale per cinque giorni fino al giorno del funerale e
ha diramato ulteriori disposizioni, fra cui l’esposizione delle bandiere a mezz’asta sugli
edifici pubblici nel periodo di lutto; l’osservanza di un minuto di raccoglimento alle ore
10.00 del giorno del funerale negli uffici e nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado;
l’invito a differire gli eventi sportivi o di intrattenimento programmati per il giorno del
funerale; la designazione degli ambasciatori e dei prefetti in sede a rappresentare il Governo
italiano al rito cattolico liturgico di suffragio celebrato nelle loro sedi e “per i giorni di lutto

nazionale, l’invito a svolgere tutte le manifestazioni pubbliche in modo sobrio e consono
alla circostanza”.
Il resto è stato polemica, quella a cui si faceva cenno in apertura, e che, facendo leva sulla
coincidenza del 25 aprile con i giorni del lutto, ha strumentalizzato l’invito, aprendo la porta
alla dietrologia, per assistere a cosa?
Nessun divieto, nessuna proibizione, nessuna cancellazione che potesse incidere sulle
celebrazioni (e non sui festeggiamenti, attenzione!) per il 25 aprile, tanto è vero che oggi
tutte le manifestazioni istituzionali si sono regolarmente svolte.
Né alcun proclama che potesse negare il significato “storico” (e non politico, attenzione!) di
questa ricorrenza.
Il cuore del problema è sempre lo stesso, purtroppo: pensare che il 25 aprile sia una
commemorazione a cui ha diritto solo una parte dell’emiciclo politico del Parlamento
italiano e solo una parte della popolazione italiana.
Gli “altri”, che hanno il diritto di esprimere e manifestare ideologie politiche differenti o
contrapposte, ne devono restare fuori, come spettatori non invitati alla festa o come
usurpatori di meriti non propri, impossibilitati anche ad intonare “Bella ciao”, perché è
l’inno di una sola parte dell’Italia, pur non essendo mai stata cantata durante la Resistenza,
come testimonia Giorgio Bocca, partigiano in Val Grana prima e in Val Maira poi, che così
dice: «Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare “Bella ciao”, è
stata un’invenzione del Festival di Spoleto» nel 1964!
Intanto, in questa particolare circostanza, un po’ di buon senso avrebbe dovuto far
comprendere che “non si festeggia in casa del morto”, come recita un antico adagio, e che
l’invito alla sobrietà poteva essere inteso come una rinuncia a cortei rumorosi e chiassosi,
lasciando spazio al contegno e alla moderazione, consentendo solo alle note del “Silenzio”
di risuonare nell’aria, come univoco richiamo all’unità e alla condivisione dei medesimi
valori.
L’invito alla sobrietà voleva solo essere un appello a non trasmodare e non “a non ricordare
e non commemorare”, che, a occhio e croce, è cosa ben diversa da “festeggiare”.
Lo spettacolo a cui siamo tutti quanti stati esposti, invece, è stato di grande desolazione, pari
ad un chiacchiericcio da cortile, che ha generato solo inutile rumore … per nulla.

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