PALMI – Delle 37 persone finite nell’ordinanza di custodia cautelare, ben 25 sono state rinviate a giudizio ieri, dal gup di Palmi Gaspare Spedale. 10 i prosciolti, 2 avevano patteggiato.
È l’esito dell’udienza di ieri del processo “Migrantes”, scaturito dalla maxioperazione nell’aprile del 2010 che ha preso spunto dalla rivolta del gennaio di quello stesso anno, quando alcuni extracomunitari si ribellarono in strada allo sfruttamento cui erano sottoposti. Un processo che dovrà provare la tesi della Procura di Palmi, per la quale a Rosarno vigeva un sistema consolidato fondato sullo sfruttamento del lavoro nero e sul caporalato.
L’inchiesta ha coinvolto 9 africani, destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, 29 proprietari terrieri di nazionalità italiana ai quali il gip Silvia Capone aveva concesso i domiciliari. Gli indagati finiti in carcere sono accusati del reato di caporalato, perché secondo gli inquirenti avrebbero reclutato braccianti, costringendoli a lavorare a ritmi massacranti e per pochi spicci al giorno.
Tra coloro finiti ai domiciliari, invece, vi sono proprietari terrieri e di aziende.
La rivolta dei braccianti è scaturita proprio per protesta contro un sistema di sfruttamento senza scrupoli, cui erano obbligati, costretti. Da quella rivolta è nata un’inchiesta, condotta da polizia e carabinieri di Gioia Tauro coordinati dalla Procura di Palmi, per risalire sia agli autori dei pestaggi e degli agguati armai, sia alla ricostruzione del “sistema” di sfruttamento. “Migrantes” fa capo proprio a questo secondo filone.