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Lesbo – quinto giorno: a Moria l’attesa infinita

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Sesto appuntamento del diario quotidiano di Marika Surace da Lesbo. Oggi è tornata al campo migranti di Moria.

Lesbo – quinto giorno

I bambini non sembrano accorgersi di nulla. O almeno così sembra, perché giocano spensierati in mezzo al fango, tra le tende, con pochi mezzi ma molta fantasia.

Siamo a Moria anche oggi, ma stavolta il quadro è completamente diverso. Dopo gli sbarchi di ieri le code sono lunghissime, ma soprattutto adesso sappiamo molto di più. Sappiamo cosa succede prima, e cosa succederà dopo. Sappiamo degli sbarchi, e dei traghetti da Mytilini per Atene. E adesso conosciamo meglio il limbo di questo campo, dove si attende, in coda, sempre in coda. Per il cibo, i vestiti asciutti, la ricarica del telefono, le informazioni, un po’ di conforto.

Le donne si ritrovano insieme, vicino al parco allestito per i bimbi: chiacchierano, preparano del cibo, richiamano i più piccoli. Ci sono due campi, e in quello ufficiale, quello che funziona da hotspot, è sorvegliatissimo dalla polizia, si potrebbe entrare solo se autorizzati. Ce la facciamo con un po’ di diplomazia che gioca sull’amicizia tra Grecia e Italia, e ci permettono di entrare.

I container dell’Unhcr sono pieni degli aiuti che vengono distribuiti a chi è qui in attesa. In attesa di sapere cosa succederà dopo la registrazione.

Quello che mi interessa sapere è che tipo di assistenza legale ricevano i migranti appena arrivati. Una cosa che fa la differenza. Perché molti di loro, in buona fede, quando gli viene chiesto perché vengano in Europa, rispondono che è per lavorare. Ma questa informazione viene interpretata dalle autorità come chiaro segnale che si tratta di migranti economici. Che, secondo le direttive giunte, devono essere rimandati al paese di origine. Ma loro quanto sanno sui loro diritti, sulle conseguenze delle loro risposte? Pare nulla, e di avvocati, in giro, nemmeno l’ombra.

Anzi, un agente delle Nazioni Unite mi risponde che secondo lui gli avvocati, qui, non servono a niente.
Strano, visto che il diritto di informazione è palesemente violato, e non solo quello.

Un volontario, Mark, 22 anni, che viene dalla Svezia, mi racconta di quanto sia frustrante, a volte, aiutare le persone ma poi venire a sapere dei naufragi. “In questi giorni guardia costiera e Frontex si stanno presentando al meglio, perché gli è stato chiesto dai politici. Ma quanto durerà? I morti di ieri, certamente, non saranno gli ultimi. E a volte, anche venendo qui con tutta la buona volontà, sembra che ci sia davvero poco da fare”.

E il fatto che perfino i volontari, che pure non mancano di energia ed entusiasmo, perdano la speranza, è certamente molto significativo.

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