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Sciopero degli avvocati, Renato Vigna: “La riforma del processo penale rischia di cancellare il diritto di eguaglianza”

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Rentao Vigna

Vorrei che la stampa, come anche i Giudici della Repubblica, si preoccupassero un po’ più seriamente delle reali finalità perseguite dagli avvocati penalisti attraverso la dichiarazione di astensione che impedirà la celebrazione di tutte le udienze fissate da lunedì 10 a venerdì 14 aprile 2017 .

Per dirla tutta, vorrei anche che i cittadini venissero adeguatamente informati sui reali motivi per i quali tutti gli avvocati italiani si preparano ad aderire ad uno stato di agitazione, proclamato il 17 marzo con apposito deliberato della Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane. Ma più di tutto vorrei che fosse chiaro a tutti voi che leggerete queste poche righe, che noi penalisti non stiamo protestando per rivendicare l’intangibilità di diritti – o di privilegi economici – che lo Stato starebbe per sottrarre alla nostra specifica categoria professionale.
Infatti i nostri sono sforzi protesi a proteggere l’umana famiglia, e dunque i diritti fondamentali di tutti coloro che tra di noi potrebbero turnariamente trasformarsi da spettatori in parti direttamente interessate dai rigorosi sistemi che attualmente disciplinano il processo penale. Tant’è che noi di fatto e da oltre un mese stiamo platealmente e fattivamente contrastando l’avvento di una legge che – a ben considerarne i contenuti – annichilisce e forse cancella una volta per tutte la “magna pars” dei “nostri” diritti più inviolabili.
Solo ad un popolo di giustizialisti potrebbe infatti risultare gradita la prevista riforma dell’istituto della prescrizione il cui unico e prevedibile effetto sostanzialmente risulterebbe la legalizzazione di quella che tutti riteniamo essere l'”irragionevole” durata degli stessi.  Sarebbe infatti un mondo di giuristi di cartone quello in cui finanche noi avvocati, ovvero gli ultimi “alfieri della libertà dei cittadini” dovessimo condividere le fin troppo candidamente addotte ragioni di “spending review”, in virtù delle quali si vorrebbe dare la stura alla celebrazione di processi penali “farsa”, durante i quali l’imputato detenuto (ovvero la parte essenziale del rito) dovrebbe rimanere chiuso in una prigione e potrebbe collegarsi all’aula di udienza in cui “altri” tratteranno il merito di fatti e raccoglieranno le prove più importanti ai fini di quella che diverrà una sentenza di condanna o una affermazione di innocenza solo attraverso il sistema della videoconferenza.
È ovvio che se la norma passasse, tratteremmo processi durante i quali l’imputato detenuto dovrebbe comunicare anche con il suo avvocato – oltre con gli uffici e con le altre parti interessate al processo – attraverso un sistema che è ragionevole ritenere esposto al sistematico controllo di uffici che potrebbero astrattamente abusare di dati che in quanto “trasmessi” poi potrebbero anche rimanere “conservati” in forma digitale.
Se ciò accadesse, verrebbe autoritariamente calpestato il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, visto che la medesima norma in corso di emanazione prevede che ogni imputato non sottoposto a misure cautelari possa invece continuare a godere del pieno diritto di partecipare al suo processo e dunque gli consente di vedere pienamente soddisfatte le aspettative di celebrazione di un rito realmente ispirato alla trattazione del thema probandum nel pieno rispetto dei principi dell’oralità e dell’immediatezza.
Noi che trascorriamo intere giornate spendendoci per il prossimo in questa piuttosto che in quell’altra aula di giustizia penale della penisola, sappiamo bene che l’entusiasmo del Ministro Orlando e di tutti quei parlamentari che con la loro fiducia potrebbero rendere norma vigente il ddl sotteso alla riforma del sistema penale, probabilmente servirà solo a confondere per qualche mese le già agitatissime acque della giustizia penale.
Poi infatti toccherà proprio allo stesso ministro ammettere che i processi nei confronti di chi è stato privato della libertà non si possono celebrare ricorrendo a sistemi che li renderebbero palesemente incostituzionali; e soprattutto gli toccherà ammettere che la strutturazione e la manutenzione degli costosissimi impianti di video collegamento necessari, comportano costi ben più significativi rispetto a quelli che stiamo sopportando attualmente per le operazioni di traduzione degli imputati detenuti da un carcere ad un palazzo di giustizia.
Operazioni che al momento sono assegnate al DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria) e dunque non richiedono l’indizione di alcuna “gara”. Piuttosto, se il problema è quello degli elevati costi, toccherebbe chiedersi perché il ministro Orlando non abbia considerato strumento più utile allo scopo quelli di evitare che le persone private della libertà vengano confinate in istituti di pena distanti migliaia di chilometri da quello in cui verranno prevedibilmente celebrate sia le fasi del rito cautelare che il loro processo?
Detto questo spero che qualcuno in più abbia potuto finalmente comprendere il vero motivo che spinge i penalisti italiani ad astenersi dal partecipare alle udienze durante le giornate che vanno dal 10 al 14 aprile prossimi. E soprattutto, mi auguro che i più abbiano compreso che “nessuno è immune da errore giudiziario”, e che non si tratta di “altri 5 giorni di vacanza” degli avvocati …

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