Nella prima udienza del processo Mediterraneo l’avvocato Girolamo Larosa, legale di Girolamo Romagnoli, ha chiesto la ricusazione del giudice a latere della Corte d’appello di Reggio Calabria Tommasina Cotroneo.
La richiesta della difesa è stata presentata ieri mattina, nel corso della prima udienza di appello del processo Mediterraneo, procedimento istruito dalla Dda reggina contro la cosca Molè di Gioia Tauro.
L’avvocato Larosa ha chiesto la ricusazione della Cotroneo perché il giudice ha fatto parte del collegio che ha giudicato e condannato Magnoli nel processo Griffe. Il presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria si è riservata e scioglierà nella prossima udienza, nella quale, verrà stilato il calendario delle discussioni che partiranno con la requisitoria del sostituto procuratore generale.
Quello che è iniziato ieri in Corte d’appello è in processo in abbreviato del procedimento Mediterraneo. I giudici di piazza Castello partiranno, per la loro sentenza, da qualla emessa in primo grado dal gip reggino (leggi l’articolo), che ha inferto 250 anni di carcere ai 31 imputati condannati. Cinque sono state le assoluzioni. Le pene vanno dai 2 ai 17 anni di Carmelo Stanganelli.
Associazione mafiosa, traffico di droga e di armi, intestazione fittizia di beni, queste sono le accuse contestate, a vario titolo, dalla Dda. Nell’inchiesta “Mediterraneo”, condotta dai carabinieri, c’è tutto il business dei Molè. Un business che la cosca avrebbe spostato da Gioia Tauro soprattutto nel Lazio, dove sarebbe stata egemone anche nel settore delle slot machine.
L’indagine infatti, ha ricostruito le strategie economiche del clan a partire dal primo febbraio 2008, giorno in cui verrà freddato Rocco Molè.
Dopo l’uccisione del reggente della cosca, secondo gli inquirenti, sarà proprio il capo storico del clan, Girolamo, dal carcere di Secondigliano, a impartire gli ordini alla cosca: allontanarsi da Gioia Tauro verso Roma, rientrando in Calabria solo periodicamente. L’indagine, dunque, ha svelato l’attività di narcotraffico del clan, attraverso la quale i Molè sarebbero riusciti ad assicurarsi un regolare flusso di ingenti quantitativi di hashish e cocaina in entrata sulla Capitale, sfruttando tre direttrici di approvvigionamento e il ricorso a una strutturata rete di partecipi, sia italiani, che stranieri.
In abbreviato sono finiti, oltre a Stanganelli, anche il suocero e la moglie del boss Mommo Molè, Antonio e Caterina Albanese, condannati a 8 anni di reclusione, e molti presunti affiliati di secondo piano.
L’inchiesta “Mediterraneo” verrà ricordata nel contrasto alla criminalità organizzata, non solo per la ricostruzione delle dinamiche criminali all’indomani dell’omicidio del boss Molè, ma anche per aver portato alla collaborazione di tre imputati. In abbreviato infatti ci sono anche i tre collaboratori di giustizia Marino Belfiore, condannato a 3 anni e otto mesi, Lino Furfaro, 12 anni e due mesi, e Pietro Mesiani Mazzacuva 5 anni e quattro mesi di reclusione. La sentenza di primo grado ha sostanziato la bontà delle dichiarazioni accusatorie dei tre collaboratori.