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L’Annunziata e Maruzzella

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Rosaria ha sempre immaginato nella sua mente il suono di quella campanella. Ci passava spesso, la domenica mattina, fuori la Santa Casa dell’Annunziata.

La sua nonna era stata abbandonata lì, purtroppo senza neppure una medaglia spezzata, come si usava quando la madre, auspicando una futura restituzione della sua creatura, rompeva a metà un ciondolino e ne conservava una porzione come prova.

Questi ricordi le rievocavano il pensiero della nonna e la inondavano di profonda nostalgia.

Cresciuta in una delle famiglie più agiate, nonna Maruzzella – Maria – non conosceva le sue origini e quando ancora era in vita, cercava di consolarsi raccontando alla nipote ciò che sapeva della sua nascita.

Figlia della colpa”, dal cognome Esposito, era stata accolta e cresciuta con amore da due coniugi che non avevano avuto figli. Le avevano dedicato cura e attenzione e per quei tempi difficili, nella Napoli di povertà e miseria di fine ‘800, nonna Maria fu destinataria di una vera e propria rinascita.

La Ruota dell’Annunziata garantiva l’anonimato, nonostante fosse aperta anche di giorno, a chi abbandonava i piccoli, ma soprattutto una possibilità di sopravvivenza a quei neonati che, altrimenti, sarebbero morti di stenti in qualche vicolo maleodorante del quartiere.

Il suono della campanella era il segno che era arrivato un bambino o una bambina in cerca di cure e chi lo poggiava davanti alla ruota, sapeva già in cuor suo se sarebbe tornato a riprenderlo non appena le condizioni economiche fossero migliorate.

Non fu così per nonna Maria.

Rosaria cercò in tutti i modi di risalire a qualche notizia utile sulle origini della nonna, ma senza successo. Quando era stata abbandonata, non le avevano lasciato addosso alcun oggetto, né qualunque altro segno di riconoscimento.

Rosaria, ormai anziana in pieno ’68, anch’ella nonna, raccontava la storia ai suoi due piccoli nipoti con occhi lucidi e rivolgendo un pensiero caro a chi, come Maruzzella, aveva patito il distacco da una madre che portava con sé una colpa insuperabile, una macchia che l’aveva condannata per tutta la vita.

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