Da gennaio 2018 l’economia globale è teatro di una guerra commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti, complessa e di vasta portata, che si è ormai trasformata in una guerra tecnologica, come dimostrano le sanzioni imposte a Huawei e ZTE. La crescita della Cina, successiva alla sua adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha spinto l’amministrazione Trump a definire il Paese un concorrente strategico nel documento sulla strategia per la sicurezza nazionale, considerandolo una minaccia al predominio americano sull’economia globale. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno avviato una guerra commerciale contro Pechino. La Cina ha investito massicciamente nello sviluppo di tecnologie nazionali, dalle energie rinnovabili ai microchip, fino all’intelligenza artificiale. Dalla chatbot DeepSick – diventata un serio concorrente di ChatGPT – a BYD, che ha superato Tesla diventando il più grande produttore di auto elettriche al mondo, la Cina ha compiuto progressi significativi. Nel frattempo, Apple ha perso preziose quote di mercato in Cina a favore di concorrenti locali come Huawei e Vivo. La Cina ha rafforzato i suoi legami con i Paesi del cosiddetto “Sud globale”, investendo miliardi di dollari nella controversa iniziativa commerciale e infrastrutturale “Belt and Road” e poi per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, ha ampliato gli scambi commerciali con regioni come il Sud-est asiatico, l’America Latina e l’Africa. Ha inoltre costruito due grandi raffinerie, una delle quali con l’investimento dell’ Arabia Saudita, ed acquista circa il 90% del petrolio sanzionato dall’Iran a prezzi bassissimi, per poi esportare i propri prodotti petrolchimici in tutto il mondo. Dal 2023, la Cina è partner commerciale di oltre 60 Paesi del mondo. Pechino detiene circa 700 miliardi di dollari in titoli di Stato statunitensi; tra i Paesi non statunitensi, solo il Giappone – fedele alleato di Washington – ne possiede di più. Tuttavia, la vera arma strategica della Cina è il quasi totale monopolio sull’estrazione e sulla raffinazione delle terre rare, elementi fondamentali per la produzione di tecnologie avanzate. Limitando le esportazioni di questi elementi, la Cina cerca di ottenere vantaggi politico-commerciali nei confronti degli Stati Uniti. Nonostante gli sforzi americani per ricostruire una catena di approvvigionamento interna, gli Stati Uniti continueranno ancora per anni a dipendere dalle importazioni cinesi. Anche l’Unione Europea e il Giappone stanno cercando di ridurre la propria dipendenza in questo ambito. Sette elementi delle terre rare sono essenziali per la produzione di telefoni cellulari, computer portatili, automobili e apparecchiature mediche. Tra questi: il disprosio, utilizzato nei magneti delle auto elettriche e delle turbine eoliche, e l’ittrio, impiegato nei rivestimenti resistenti al calore dei motori a reazione e in applicazioni legate all’intelligenza artificiale. Da quest’anno, la Cina ha imposto restrizioni alla loro esportazione. Attualmente è responsabile di circa il 61% della produzione mondiale di terre rare e del 92% della loro raffinazione. Nel 2024, ha inoltre vietato l’esportazione di un altro elemento chiave: l’antimonio, utilizzato in vari processi produttivi. L’impatto di queste misure sull’industria della difesa statunitense sarà significativo. Per questo motivo, la Cina ha in mano una carta vincente e strategica contro l’aumento dei dazi (fino al 245%) sulle esportazioni di beni cinesi verso gli Stati Uniti. Il governo del presidente Xi Jinping ha ripetutamente dichiarato di essere pronto a negoziare, ma ha anche avvertito che, se le condizioni lo richiederanno, “combatterà fino alla fine”.
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