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Il Coraggio di Onome

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Ha diciassette anni, lunghe treccine scure, un bel sorriso e uno sguardo a tratti diffidente. Sogna di studiare lingue, di andare a lavorare in Canada ma soprattutto di essere indipendente. Ride e scherza con i compagni di classe, e inizia anche a fare qualche battuta in dialetto.

Sembrerebbe l’identikit di una qualunque adolescente alle prese con storia e matematica, il lucido per le labbra o le prime cotte, se non fosse che Onome è arrivata in Italia sola dalla Nigeria a bordo di un gommone e non ha una madre ad aspettarla all’uscita della scuola.

“Non ho paura di niente” – ha detto più volte. E lo ha detto ai suoi compagni di classe, la III BL, che l’hanno accolta con grande affetto e disponibilità dal primo istante in cui è arrivata. Pronti a tenderle una mano, a ridere insieme e a ricostruire la sua storia con curiosità e un certo interesse.

Seduta tra i banchi del Liceo linguistico “Rechichi” di Polistena, diretto dalla preside Francesca Morabito, la ragazza ha ripercorso il tragitto che parte da Lagos, la sua città natale, fino ad approdare sulle spiagge dell’isola di Lampedusa.

“Ho lasciato la Nigeria a Settembre. Eravamo in 18. – ha detto Onome, che sui motivi della fuga ha preferito rimanere sul vago. – Non mi piace la mentalità del mio Paese. È troppo chiusa e devi sottostare a troppe regole. Per quello ho deciso di andarmene”. I primi tre giorni di viaggio sono stati in macchina fino ad arrivare ad Abuja e da lì ad Afadis.

“Qui sono tutti bianchi, e i neri vengono discriminati. – ha raccontato – Ci hanno costretto a vestirci da musulmani e a farci fare un altro viaggio di 4 giorni in una specie di jeep senza farci portare né cibo né acqua nel bel mezzo del deserto. Alcuni di noi bevevano l’acqua sporca delle pozzanghere. Per un attimo ho pensato anche di tornare indietro. Ero stanca, avevo fame, ma non sapevo come fare”.

Non è sempre facile ricordare per Onome. Ma dal suo modo di porsi si percepisce la voglia di farsi conoscere, di condividere ciò che ha passato. “Gli arabi parlavano solo la loro lingua e non capivano l’inglese ma pretendevano di essere capiti. Erano severi, – ha proseguito – e alcuni di noi sono stati maltrattati. Ad un certo punto gli uomini sono stati costretti a spingere la jeep. Ma si moriva di caldo”.

Finalmente arrivati in Libia, secondo il racconto di Onome, alla frontiera sono stati tutti privati del denaro che avevano con sè. “Io avevo solo delle fotografie e i documenti della scuola. In più mi sono finta pazza”. Dei giorni trascorsi sul gommone la ragazza ricorda poco. O più semplicemente non vuole parlarne. Una volta arrivata a Reggio Calabria è stata suor Angela a portarla a Polistena in una casa famiglia.

“Suor Angela è la mia mamma italiana. – ha puntualizzato più volte – anche se sento tanto la mancanza di mia nonna. Mi piace parlare italiano e inizio ad apprezzare anche il cibo. Qui è tutto diverso rispetto al mio paese. Dalla scuola all’abbigliamento. Ma adesso ho molti amici e mi sento parte di due culture diverse”.

La famiglia non sapeva nulla della sua partenza. Non era d’accordo. I nigeriani hanno il record di richieste d’asilo in Italia. Molti di loro sono minorenni e la maggior parte sono donne. Dalla Nigeria si fugge per molte ragioni, ragioni che tuttavia l’Europa molto spesso non riconosce.

Il problema però è che spesso si finisce col trovarsi una vita peggiore di quella lasciata alle spalle. Ciò che si spera quindi è che i sogni di Onome possano realizzarsi davvero, e che quel sorriso rimanga lo stesso, speranzoso e pieno di coraggio.

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