l piano di pace in 20 punti proposto da Trump, accettato da Israele e parzialmente da Hamas, rappresenta in realtà un quadro generale, lungo solo poche pagine. Tuttavia, restano importanti divergenze da risolvere.
Hamas ha accettato lo scambio di ostaggi come parte del piano di Trump, ma gli ostaggi costituiscono l’unica leva di pressione a disposizione del gruppo e non è chiaro se esso sia disposto a rilasciarli prima che le altre parti dell’accordo siano state finalizzate.
Il 13 settembre 1993, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat si strinsero la mano nel giardino della Casa Bianca. Dopo i colloqui di Oslo, concordarono in linea di principio la cessazione delle violenze e un periodo di transizione di 50 anni, durante il quale i palestinesi avrebbero assunto l’autogoverno in alcune parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Tuttavia, si trattava solo di un accordo a breve termine.
Gli oppositori dell’intesa intensificarono gli attacchi da entrambe le parti. L’assassinio di Rabin, ad opera di un estremista di destra israeliano nel 1995, segnò l’inizio del crollo dell’accordo, mentre l’organizzazione estremista Hamas riprese potere tra i palestinesi. Da allora, ogni ciclo di negoziati iniziato dal 1993 è fallito. Sebbene un’Autorità Nazionale Palestinese esista ancora in alcune aree della Cisgiordania, diverse questioni fondamentali restano irrisolte.
Uno dei punti principali del piano di Trump riguarda il disarmo di Hamas. La questione è affrontata in termini generali e non è chiaro se includa o meno le armi leggere. Disarmare Hamas delle sue armi leggere, tuttavia, è un compito praticamente impossibile e nessun servizio di intelligence potrebbe portarlo a termine. Hamas, inoltre, ha già in passato rifiutato di consegnare le proprie armi, affermando che lo farà solo quando sarà costituito uno Stato palestinese indipendente.
Nel piano di Trump, la futura amministrazione della Striscia di Gaza verrebbe affidata all’Autorità Nazionale Palestinese, escludendo il ruolo di Hamas. Tuttavia, non solo Hamas, ma anche gli estremisti nazionalisti israeliani si oppongono a questo piano: i primi per non perdere il controllo di Gaza e i secondi perché vogliono mantenere il dominio israeliano sulla Striscia e ricostruire gli insediamenti ebraici.
Non solo Hamas e Israele, ma anche Trump sembrano non preoccuparsi dei diritti della popolazione indifesa di Gaza. Se la vera intenzione di Trump fosse stata la pace, non avrebbe mai reso più difficile il suo raggiungimento spostando l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme.
Per confermare questo, Netanyahu ha affermato: «Senza Gerusalemme come capitale di Israele, non ci sarà pace. Invito tutti i paesi che desiderano la pace a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e a trasferirvi le loro ambasciate».
Inoltre, Trump ha mantenuto il controllo, seppur limitato al 15%, da parte di Israele sulla Striscia di Gaza e ha tracciato ingiustamente i confini di Gaza secondo la mappa pubblicata dalla Casa Bianca.
La mancata assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Trump, giustamente decisa dal Comitato Nobel, ha dimostrato che gli slogan del presidente sulla pace a Gaza non sono riusciti a ingannare il mondo.



