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Frodi sportive e scommesse pilotate: arresti domiciliari per cinque indagati tra Reggio Calabria e Toscana

Dalle prime ore di oggi 29 ottobre, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio
Calabria e i Finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza,
stanno dando esecuzione a una misura cautelare di sottoposizione agli arresti domiciliari, emessa dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 5 soggetti, indagati per il reato di associazione a delinquere finalizzata alle frodi sportive.
Le indagini, coordinate da questa Procura della Repubblica di Reggio Calabria, iniziate
nel gennaio del 2024 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria e
proseguite anche con la partecipazione dei Finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia
Valutaria, che già investigava con altra Procura della Repubblica, hanno avuto origine da una segnalazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli relativa ad un flusso
anomalo di scommesse su di un incontro calcistico della categoria Primavera. L’attività investigativa che ne è derivata – come confermata, allo stato, dalle valutazioni del Giudice per le Indagini Preliminari – ha permesso di raccogliere gravi elementi in ordine all’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, promossa e diretta da un arbitro della Sezione di Reggio Calabria delle categorie Primavera, Primavera 2 e Serie C, il quale dirigeva l’arbitraggio di diversi incontri calcistici, in modo da indirizzare il risultato finale e farlo convergere verso gli esiti oggetto di scommesse mirate effettuate dai membri del sodalizio.
Anche in seguito alla sua sospensione da parte degli organi di giustizia sportiva che
avevano accertato le prime irregolarità, il direttore di gara reggino individuava altri
colleghi arbitri, designati per i singoli incontri sportivi, per poi avvicinarli e corromperli, mediante la dazione o la promessa di somme di denaro, che potevano arrivare anche a 10.000 euro a partita, sempre affinché questi conducessero una direzione di gara funzionale a far convergere il risultato verso l’esito delle scommesse effettuate dai membri dell’associazione.
Secondo la ricostruzione avallata dal G.I.P., il sistema criminale vedeva la partecipazione di ulteriori indagati in qualità di partecipi dell’associazione, i quali fornivano supporto morale e materiale all’attività svolta dall’arbitro occupandosi anche di ricercare i contatti con i direttori di gara designati per le partite oggetto di scommessa oltre ad investire il proprio denaro sulle scommesse del gruppo, al fine di trarne un utile comune.

Il modus operandi era semplice ma efficace: l’arbitro faceva in modo che le partite
terminassero con un numero di goal tale da poter garantire il verificarsi del pronostico “over” (cioè il superamento di un numero totale di goal per ogni match).
Il direttore di gara riusciva ad ottenere tale risultato concedendo un numero importante di rigori, molto spesso inesistenti. Altre volte invece favoriva una delle due squadre, normalmente quella le cui quotazioni permettevano introiti più elevati, espellendo giocatori delle squadre avversarie senza una reale motivazione.
Queste decisioni risultavano avere un impatto assolutamente rilevante sull’epilogo delle gare, che era ben lontano da quello conseguente al corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive.
Proprio su quell’esito falsato e “pilotato” gli altri componenti dell’associazione
scommettevano ingenti somme di denaro che fruttavano loro elevati guadagni.
A finanziare l’associazione, soprattutto al fine di corrompere altri direttori di gara, erano due imprenditori toscani (padre e figlio), titolati di un’agenzia di scommesse di Sesto Fiorentino (FI), anche loro tratti in arresto.
Nello specifico, l’associazione utilizzava anche l’attività di raccolta scommesse ubicata in Toscana per veicolare giocate per importi rilevanti sulle gare influenzate dagli episodi corruttivi.
Gli accertamenti bancari e sui conti gioco utilizzati dall’associazione consentivano di
censire l’utilizzo da parte degli indagati di provider di scommesse esteri e non autorizzati a operare nell’ambito dell’Unione Europea, all’evidente scopo di non destare sospetti su corposi flussi di scommesse.
I provvedimenti eseguiti sono stati adottati nella fase delle indagini preliminari e sono
suscettivi di impugnazione. Pertanto, fino a sentenza definitiva, gli indagati devono
essere considerati innocenti.

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