PALMI – Operazione eccellente stamane a Rosarno. Tre persone in stato di fermo con l’accusa di «concorso di maltrattamento in famiglia e violenza o minaccia a commettere un reato».
Lo scrive il Gip del Tribunale di Palmi, Fulvio Accurso, nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Michele Cacciola, Giuseppe Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, rispettivamente padre, fratello e madre di Maria Concetta Cacciola, la collaboratrice di giustizia morta suicida il 20 agosto scorso, dopo aver ingerito dell’acido muriatico.
Sono stati i militari dell’Arma e gli uomini del commissariato di polizia di Gioia Tauro a condurre le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi, ed a sottoporre a stato di fermo stamane i tre soggetti.
Una vicenda triste quella di Maria Concetta, che a maggio dello scorso anno, stanca dei soprusi a cui era costretta, ha deciso di collaborare, recandosi personalmente presso la caserma dei carabinieri di Rosarno e dichiarando di essere in grado di fornire circostanze utili ad incastrare esponenti delle cosche Cacciola e Bellocco, autori di diversi fatti di sangue.
Il 25 maggio Maria Concetta Cacciola inizia il suo percorso di collaborazione con la Dda di Reggio Calabria, confermando il ruolo della sua famiglia nei fatti di sangue di Rosarno; per lei, il 20 luglio, viene disposto un programma di protezione provvisorio.
Dalle intercettazioni telefoniche fatte sulle utenze dalla collaboratrice e dei suoi familiari, emerge non solo l’attendibilità della donna, ma anche circostanze drammatiche, di violenze psicologiche e fisiche che Maria Concetta subiva quotidianamente in famiglia.
Il 9 agosto del 2011 Maria Concetta rientra a Rosarno e pochi giorni dopo chiede che le venga tolta la protezione dello Stato; pensa di potercela fare da sola, pensa di riuscire a sopportare le pressioni dei familiari e invece no, non è stato così.
Maria Concetta morirà il 20 agosto, dopo aver ingerito dell’acido muriatico. Il suo dolore è racchiuso nelle parole scritte in una lettera alla madre, il 20 maggio 2011, quando iniziò la sua collaborazione.
E stamane quelle persone che hanno abusato di lei, della sua sensibilità, delle sue debolezze sono state fermati dai carabinieri; gravi le accuse nel loro riguardi. Michele Cacciola, Giuseppe Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, come riportato nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Fulvio Accurso.
I tre sono indagati «del reato di cui all’art. 110, 572 comma 2 c.p. perché, in concorso morale e materiale tra loro, attraverso reiterati atti di violenza fisica, consistenti nel malmenarla in più occasioni nonchè mediante vessazioni psicologiche, attuati nel corso di un lungo periodo di tempo, maltrattavano la figlia e sorella Maria Concetta Cacciola la quale, in conseguenza dei gravi e reiterati maltrattamenti, si determinava alfine a togliersi la vita ingerendo acido muriatico.
In particolare ponevano in essere le seguenti condotte:
1. le impedivano di uscire liberamente di casa e di avere amicizie, in particolare da quando il marito Salvatore Figliuzzi era detenuto in carcere, malmenandola e comunque vessandola ad ogni violazione delle “regole” da essi imposte;
2. intorno al mese di giugno del 2010 Cacciola Michele e Cacciola Giuseppe, avendo appreso da lettere anonime che la loro congiunta intratteneva una relazione extraconiugale, la picchiavano violentemente, cagionandole la frattura ovvero l’incrinatura di una costola, quindi le impedivano di recarsi in ospedale per ricevere le cure, costringendola a rimanere chiusa in casa ove la facevano clandestinamente curare da sanitario di loro fiducia per circa tre mesi;
3. a partire dal giugno 2010, in conseguenza dell’arrivo delle predette lettere anonime, Giuseppe Cacciola insieme ai cugini (figli di Domenico Cacciola) la sottoponeva a continui pedinamenti;
4. dal 27.7.2011 all’8.8.2011, periodo in cui Maria Concetta Cacciola si trovava in località protetta a Genova, in conseguenza della sua scelta di collaborare con la giustizia, Lazzaro Anna Rosalba e Michele Cacciola effettuavano continue pressioni psicologiche – consistenti, tra l’altro, nella minaccia di allontanare per sempre i figli da lei – per costringerla a fare ritorno a Rosarno e ritrattare le dichiarazioni rese all’Autorità giudiziaria;
2) del reato di cui agli artt. 56, 110, 377 bis c.p. perché in concorso morale e materiale tra loro, con violenze psicologiche e minacce di non farle più vedere i figli, inducevano Maria Concetta Cacciola a registrare un’audiocassetta nella quale ritrattava tutte le dichiarazioni precedentemente rese agli inquirenti riguardanti responsabilità del padre Michele Cacciola e del fratello Giuseppe Cacciola, ed in tal modo compivano atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre la predetta Cacciola che, essendo una loro prossima congiunta, aveva la facoltà di non rispondere, a rendere all’autorità giudiziaria dichiarazioni mendaci utilizzabili in un procedimento penale, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà, e, in particolare essendo intervenuta la morte mediante suicidio della Cacciola».
Viviana Minasi