“Questa è la pace di Cristo risorto.
Una pace disarmata e una pace disarmante,
umile e perseverante”.
Papa Leone XIV, dal Discorso della proclamazione, 8 maggio 2025
“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata
se non con sforzi creativi,
proporzionali ai pericoli che la minacciano”.
Robert Schuman, da testo della Dichiarazione del 9 maggio 1950
La storia è puntellata di coincidenze, che ricomposte ex post sulla linea del tempo sembra
quasi che vogliano confermare che se “Dio non gioca a dadi con l’universo”, è, tuttavia, un
abile giocatore di scacchi.
Il crepuscolo dell’8 maggio 2025 ha accolto il nuovo Papa, Leone XIV, mentre il suo
timido, emozionato e affabile sorriso accompagnava il primo saluto dalla Loggia delle
benedizioni all’Urbe e al Mondo: “Pace a voi”.
Il 9 maggio di settantacinque anni prima, con la parola pace si apriva un altro discorso,
destinato a cambiare radicalmente la storia: Robert Schuman, allora Ministro degli esteri
francese, rilasciava quella sua Dichiarazione, che, senza le incertezze e l’entusiasmo della
contingenza, oggi possiamo definire cruciale per la rotta che avrebbe garantito la pace nel
nostro continente per oltre settant’anni. Oltre alla nascita dell’Unione Europea, come la
conosciamo oggi.
Due incipit a cui non può non riconoscersi una comunità d’intenti e un’unicità di obiettivi:
la creazione, come proclama Schuman, di una pace che costruisca ponti, per essere un solo
popolo, come esorta Papa Leone.
E se i segni vanno colti oltre il velo della superficie, anche i due motti, quello del successore
di Pietro e quello dell’Unione Europea, hanno delle assonanze che vanno oltre la retorica:
“In Illo uno unum”, un omaggio al commento di Sant’Agostino al Salmo 127, che ricorda
che “In Colui che è Uno, siamo uno solo”; “Unity in diversity”, “Unità nella diversità”, il
principio che segna il percorso che l’Unione Europea persegue sin dalla sua costituzione.
Al di là della ricerca delle coincidenze, due riflessioni di matrice differente, l’una valutativa
e l’altra prospettica, si dipartono da un unico punto d’origine: la pace.
Una pace, forse data troppo per scontata, svalutata, non colta nel suo intrinseco e
fondamentale valore da popolazioni che non ne hanno mai conosciuto la portata distruttiva,
ma che ne osservano le disumane e catastrofiche conseguenze in tempo reale, allorché dai
teatri di guerra si manda in scena l’atto unico del massacro dell’umanità.
È stato il bisogno di pace – oltre ad altre comunanze – ad aver ispirato e determinato
Monnet, Schuman, Adenauer, De Gasperi, i quattro Padri fondatori dell’Europa unita, a
costituire il nucleo di quella iniziale Assemblea consultiva, che, sotto la comune tutela del
carbone e dell’acciaio, mirava ad obiettivi più ambiziosi e duraturi. Ma forse abbiamo
dimenticato da dove proveniamo e le lacerazioni che hanno martirizzato le nostre sponde
nel corso dei millenni.
“L’unificazione dell’Europa è la più grande opera di pace realizzata nel corso della storia,
non solo del nostro continente, ma di quella del mondo”, scrive nel 2010, nella Prefazione
al saggio Viaggio nel cuore dell’Europa, Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento
europeo dal 2007 al 2009, e la Giornata dell’Europa, che ricorre il 9 maggio, non può,
pertanto, essere degradata ad una mera commemorazione da calendario, supportata da
manifestazioni di circostanza.
Siamo ad una svolta, che passa attraverso i canali della conoscenza e della consapevolezza:
ripercorrere la storia dell’Unione Europea, delle sue fondamenta e dei suoi principi
ispiratori, del suo articolato e laborioso processo di costituzione e funzionamento delle sue
istituzioni è metafora della formazione di cittadini e di cittadine consci dell’impegno civico
che viene loro affidato.
È un progetto ambizioso, che travalica i muri della divisione e del partitismo, che necessita
del dialogo, necessita di quei ponti, che Papa Leone ha invitato a percorrere senza paura.
Forse fra un cinquantennio si dirà di noi che siamo stati testimoni inconsapevoli di una
svolta, forse si dirà che eravamo impreparati ad affrontare il compito a cui eravamo stati
chiamati.
Quello che certamente si dirà è che avevamo strumenti e modelli, anche contemporanei, per
essere motore di quel cambiamento che ci avrebbe potuto condurre ad un cambio di rotta e
riscattare l’umanità dal circuito delle apparenze, delle vuote circostanze e del degrado verso
cui sta precipitando.
Per accogliere quell’invito a ricercare e a creare la pace, come valore, come percorso, come
obiettivo e lasciare traccia del nostro passaggio in questa vita, affinché, come diceva
Sant’Agostino, si “ascolti l’uomo perché non perisca l’uomo”.



