La ‘ndrangheta, quella belva che quotidianamente demolisce la Calabria, ha oggi un motivo per gioire: a 11 mesi dalla pronuncia della sentenza d’Appello, il giudice non ha ancora depositato le motivazioni e per questo motivo alcuni ‘ndranghetisti sono tornati in libertà. La notizia è stata data ieri dal quotidiano nazionale La Stampa, in un articolo a firma di Giuseppe Salvaggiulo
Succede a Reggio Calabria, sede della Corte d’Appello che lo scorso anno ha confermato le condanne inflitte in primo grado dalla Corte d’Assise di Palmi a vertici e sodali della cosca Gallico di Palmi, smantellata nel 2010 da un’operazione della Polizia, denominata Cosa mia. Il giudice Stefania De Rienzo, non ha ancora trascritto e depositato le motivazioni della sentenza pronunciata a luglio del 2015; aveva tre mesi di tempo per farlo, allo scadere dei quali aveva chiesto una proroga di altri tre mesi. E’ passato quasi un anno e le motivazioni giacciono ancora incomplete sulla sua scrivania. I termini della custodia cautelare sono scaduti, e gli ‘ndranghetisti da ieri sono in libertà.
L’operazione Cosa mia era stata coordinata dall’attuale Procuratore capo di Roma, all’epoca capo dell’antimafia reggina Giuseppe Pignatone; era emersa tutta la ferocia di una famiglia che negli anni Ottanta sarebbe stata protagonista di una delle più sanguinose faide di mafia, a Palmi e dintorni, accusata di aver commesso 52 omicidi e di averne tentati almeno una trentina. Responsabile, la famiglia Gallico, di avere per anni vessato i commercianti della città ai quali avrebbe chiesto il pizzo, e di aver imposto una “tassa ambientale” del 3% per i lavori sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nel tratto tra Bagnara e Gioia Tauro.
Avrebbe: qui il condizionale è d’obbligo, non essendoci ancora una sentenza definitiva che abbia accertato le responsabilità addebitate alla famiglia.
Fu proprio quell’operazione, sei anni fa, a portare alla luce un sistema malato, fatto di continue pressioni, ed ancor prima di feroci fatti di sangue che paralizzarono Palmi. Dalle indagini condotte durante l’operazione Cosa mia, sono negli anni scaturite altre operazioni di polizia che hanno portato all’arresto dei presunti sodali della cosca Gallico. Fiore è la più nota delle operazioni, che ha portato in carcere soggetti ritenuti contigui ai Gallico, a cui i detenuti avevano dato il compito di chiedere ai negozianti ed imprenditori della città un “fiore”, ossia il pizzo, per i carcerati, per pagare le spese legali. Fu la ribellione di un imprenditore a far scattare le indagini da cui emerse un sistema malato.
Il torto subito dai calabresi ha scosso il guardasigilli Orlando, che ha inviato in Calabria gli ispettori del Ministero di Giustizia per capire bene cosa sia accaduto e prendere i provvedimenti del caso. Se ci sarà un responsabile, questo andrà punito.
Intanto il presidente della Prima Commissione del CSM, Renato Balduzzi, ha chiesto l’avvio di una pratica al comitato di presidenza.



