Il ricordo vivo e appassionato che racconta la forza comunicativa di uno straordinario artista, Adriano Fida che, partendo da Rosarno, la sua città, passando per Polistena, Reggio Calabria, Roma e Torino, ha assorbito influenze ed esperienze che hanno permesso di raccontare al mondo, attraverso le sue opere, il “caos calmo” interiore nel dialogo muto con tele e colori. La serata a lui dedicata, moderata da Francesco Laruffa, nell’ambito del programma “Estate Polistena in Corte” presso Palazzo Avati – curato dall’Associazione culturale Marafioti in collaborazione con la Libera Università di Polistena e la Dental Clinic Laruffa – ha permesso di assaggiare un segmento del suo enorme talento sfortunatamente perso a causa di un male incurabile nel 2022, alla giovane età di 44 anni, fatto di «sensi nascosti, opere ricche di simbolismo e conturbanti visioni» ha riferito la poetessa Enza Armino nel dialogo che ha preceduto la dedica del breve componimento “Arte che parla” realizzato per l’occasione. E se Pasquale Fida ha parlato delle opere del fratello come un «lascito emotivo alle persone», è toccato al curatore d’arte Marco Dionisi Carducci tratteggiare ampiamente la figura dell’uomo e dell’artista impregnato di pathos creativo e tecnica sopraffina, commistione tra studio e osmosi umana, che l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria ed un laboratorio di restauro a Lamezia Terme da lui frequentati in Calabria hanno preparato come viatico di ulteriore crescita artistica acquisita presso il maestro Silvano Girardi a Torino. Di lui colpiva la precocità artistica e la tecnica individuale, ha proseguito Dionisi Carducci, esplosa certamente con l’approdo nella capitale dove inizia a lavorare, apprezzatissimo, al ciclo del Mito «per il forte legame con la sua terra e per raccontare il Mito attraverso l’uomo comune» in una continua ricerca «onirica, simbolista ed esistenziale appoggiata ai Greci». Dalle sue parole emerge, poderosa, la figura di un artista che matura e muta con la scoperta della malattia nella quale compie una esperienza profonda del senso dell’inquietudine, «sublimazione del bello per raccontare sé stesso». L’incontro e l’amicizia con Vittorio Sgarbi rappresentano, quindi, l’opportunità di un sodalizio importante ricordato dal critico d’arte come “presagio” espresso nei suoi dipinti visionari, concetto ripreso ed ampliato, in videocollegamento, dal critico d’arte Ferdinando Creta, grande estimatore di Fida, nel richiamare il progetto artistico condensato nel catalogo delle sue opere da «aristocratico dell’arte» che sulle tele «dipingeva i suoi sogni» pur cosciente «della caducità e precarietà dell’esistenza umana». Dunque “Presagi” – come il titolo che battezza la personale a lui riservata visibile gratuitamente presso la cappella di Palazzo Avati fino a fine agosto, nelle giornate di sabato e domenica dalle ore 21 alle ore 23 – per rivelare il «segno della sua estrema fragilità e della bellezza timida» maturata per via della presa di coscienza della malattia che lo stava lentamente consumando e che, pur tuttavia, non ha reso meno produttivo il suo ingegno permettendo di suggellare «nelle sue opere, il suo testamento». Al termine della serata, una tela raffigurante l’artista medmeo, realizzata da Francesco Laruffa, è stata donata alla famiglia Fida.
A Polistena i visionari “Presagi” di Adriano Fida
Dionisi Carducci: "Nelle sue opere, il suo testamento"