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“Vivo in Gran Bretagna e sono europeista. Se l’Italia votasse l’uscita dall’Unione io sarei contrario”

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Dopo le interviste a Valentina Amuso e Francesco Crea, abbiamo sentito anche Paolo Nova. Vive a Yoevil, nel South Somerset. Lavora in un’azienda di proprietà italiana, dove è specialista di infrastrutture di rete.

Ha vinto il leave al referendum, consegnando di fatto una Gran Bretagna spaccata e confusa. Nella regione in cui vivi quale risultato ha prevalso?
Nel South Somerset ha prevalso il leave, con il 57% di preferenze.

Sei uno degli oltre 600 000 italiani che vivono in Gran Bretagna, temi davvero che se il Parlamento britannico dovesse rispettare l’esito del referendum, la tua vita in Gran Bretagna cambierà, e se sì come?
Sì. Devo ancora metabolizzare la notizia in realtà, che è giunta inaspettata. Vivo qui da 6 anni e la mia compagna mi ha raggiunto l’anno scorso. Abbiamo entrambi un contratto a tempo indeterminato, e siamo proprietari di una casa acquistata un anno fa che stiamo pagando con un mutuo decennale. Le ripercussioni della scelta potrebbero arrivare da diversi fronti e dipenderanno in sostanza da come il resto d’Europa affronterà questo cambiamento. La prima conseguenza sarà ovviamente economica. Inflazione e costo della vita potrebbero incidere nell’immediato. La scelta di un investimento a lungo termine (vedi mutuo) potrebbe invece incidere nel lungo termine. Sotto punti di vista più generali, questioni come la ricerca di nuove opportunità lavorative o la carenza di competitività potrebbero tramutarsi in un ostacolo alle nostre carriere professionali. La consapevolezza di poter divenire a tutti gli effetti extra-comunitari, nel senso stretto del termine, ovvero quello dell’appartenenza -anche culturale- ad una comunità, ci farà sentire decisamente meno a nostro agio. Infine, l’azienda per cui lavoro è di proprietà italiana, l’uscita dall’UE inciderà significativamente nella gestione economico-strategica della stessa.

I sostenitori del leave hanno puntato molto sull’occupazione nella loro campagna in favore della Brexit; pensi ci sia davvero il rischio di un delocalizzazione del lavoro, con l’uscita dall’UE?

La delocalizzazione del lavoro è un concetto popolare e cavalcabile ma, a lungo termine, la mancanza di competitività internazionale non paga mai. I sistemi chiusi (lo hanno dimostrato laboratori storici come le dittature europee ad economia serrata) aiutano enormemente l’occupazione nazionale nell’immediato, ma si perde gran parte del progresso e dello sviluppo. Sono inoltre difficilmente sostenibili. Si rischia insomma di intrappolarsi in una scatola di cristallo. È un tema vecchio, sentito e risentito, non solo in Inghilterra: “vengono qui a rubarci il lavoro”. Come se, lavorativamente parlando, conti più la cittadinanza che la competenza.

Per quale motivo hai scelto la Gran Bretagna come Paese in cui vivere?
La scelta della Gran Bretagna non è stata concepita a tavolino. Ho avuto un’offerta lavorativa concreta dopo quattro anni di distacco permanente in suolo inglese che ho accettato per migliori prospettive (economiche e sociali).

Secondo te chi ha perso, la Gran Bretagna o l’UE?

Nessuna delle due. Ed è sempre difficile parlare di vittoria o sconfitta. Io credo che l’Europa debba mandare un messaggio diverso ai suoi stati membri. Si è diffusa, a torto, un’immagine fallimentare dell’Unione Europea. Penso che il campo di oggi si giochi su confini planetari, non più continentali, tanto meno nazionali. Una coalizione, preferibilmente federale, è necessaria per giustificare il proprio peso nel mondo. Se il sentimento diffuso e indipendentista che da sempre guida il regno unito (basti pensare che, per ripicca papale, si fondarono un potere temporale tutto loro) li ha portati a una decisione di rottura, nessuno deve invidiare l’altro. Starà loro dimostrare di aver avuto ragione, così come starà all’Europa dover cambiare appetibilità e controllo. Proprio in questo senso prevedo che un feroce attacco alla coesione degli altri stati membri. È ovvio, non vogliono trovarsi soli nella loro coraggiosissima scelta e faranno di tutto per disgregare chi, un domani, potrebbe giustamente ignorarli. Una cosa della cultura latina l’hanno infine imparata: divide et impera. Funziona sempre.

Se avessi potuto votare, cosa avresti scelto e perché?

Avrei votato remain. Come detto prima sono un convinto europeista (in un’Europa federale). Per inciso, qualora si vada ad un referendum simile, voterei la stessa cosa in Italia.

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