Avevano deciso già tutto, o almeno così sembrava evincersi dalla lettura di quel foglio. Si atteggiava ad una sorta di “testamento”, che ben poco aveva di formale! Ma almeno, ci avevano risparmiato in litigi ed autentiche.
Beh, a mia sorella sarebbe toccato il piano terra, mentre a me il primo piano. I mobili, tutti di gran valore, risalenti alla fine del ‘800, compreso lo scrittoio di nonno Gerardo.
Era stato acquistato con il suo primo stipendio da dipendente delle poste e ci aveva tenuto a donarlo alla sua figlia femmina, cioè a mamma. Li distribuirono in base ai nostri gusti, che conoscevano perfettamente.
E poi, mica ci saremmo potuti scannare per dei mobili come fecero i nostri cugini Elvira ed Enrico!!?? Anche se in quel caso, di soldi e proprietà ce n’erano a volontà e fu il notaio a distribuire in malo modo le quote.
«Perché si trattava del notaio più incompetente della città!», mi disse Elvira, incontrandoci al cimitero.
In verità, i rapporti tra loro erano oramai scemati da un po’ e si incrinarono ancor di più all’atto della lettura del testamento, che di formalità ne aveva, invece, fin troppa!
Quel mattino, mia sorella, con aria perplessa e tono colorito esclamò: «Avrebbero dovuto lasciarmi in eredità il pianoforte; io, da piccola lo imparai e lo suono ancora oggi. Che te ne fai tu? Non sai neppure suonare Fra Martino Campanaro!».
Io la guardai esterrefatta.
Le sfuggiva che il mio piccolo Giorgio, quando entrava in casa, chiedeva di avvicinarsi subito a giocherellare con i tasti. La musica gli dava gioia, in particolar modo il suono di quel pianoforte. Giorgio non poteva camminare per via di una malattia e per papà era una gran festa vederlo suonare quei tasti, lo riempiva di felicità. Ricordo le risate che si facevano insieme.
Lei evidentemente non aveva compreso.
Poi si fissò con il vaso di cristallo che zia Luigina aveva regalato a mamma. Diceva che era destinato a lei – ché si era sposata per prima – e che questa era la volontà di zia.
Le stranezze della vita: mille volte avevamo guardato ai cugini con sdegno. «A noi – ci dicevamo – non succederà».
Ed invece, alla fine, anche i nostri rapporti si incrinarono: maledetta testardaggine!
Tutto per un pianoforte.