PALMI – Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola, Brunella Morabito. È a queste donne che si sono distinte per il coraggio e per le violenze subite che è andato il riferimento primo al convegno dal titolo “Parole violente” che si è tenuto poche ore fa all’istituto di psicologia “Sergi” di Palmi.
E a parlare di loro è stato Arcangelo Badolati, dopo i saluti del sindaco Giovanni Barone, il cui pensiero è andato alla “pressione psicologica che le donne musulmane sono costrette a subire”.
“A Rosarno ci sono donne schiave che vivono come arabe”, ha esordito il giornalista. “Non puoi essere bella perché se il mafioso di turno ti sceglie, tu neanche lo sai e diventi sua. E questo succede a 16 anni. Quando più grande, a 21 o 22 anni, scopri l’amore vero, l’istinto ti porta ad uscire da quella prigione sociale mafiosa, com’è successo alla Cacciola”.
Tanti i riferimenti con tanto di dettagli che Badolati ha fornito ad una platea attenta, interessata ai fatti che legge ogni giorno sui giornali, raccontati con la giusta severità per non addolcire in alcun modo l’atteggiamento violento subito dalle donne citate.
“Ma la letteratura può essere il veicolo che indirizza i giovani verso la non violenza?”. È attorno a questa domanda invece che si è sviluppato l’intervento di Anna Pizzimenti, avvocato, che ha cercato le giuste connessioni tra scrittura, poesia e diritto, passando per la convenzione di Istambul, Richardson e la storia di Beatrice Cenci.
“La letteratura può essere vista come una lente d’ingrandimento che serve per indagare sulla società e reprimere il fenomeno. – ha spiegato – Ma va contestualizzata”.
L’incontro, moderato da Maria Adele Brancato, docente dell’Università degli studi di Messina, organizzato dalla scuola “G Sergi” con il patrocino del comune di Palmi, e la collaborazione di Fidapa, Innerwheel, e Soroptimist International, è stato poi impreziosito dal monologo di Franca Rame, interpretato da Lilli Sgrò.
Un convegno dalla tematica forte, toccante, incisiva, che è riuscito a lanciare spunti di riflessione profondi che servono ad arricchirsi. Perché “Chi maneggia la cultura, – ha concluso Badolati – non può essere intrappolato”.