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L’inedito Seminara teatrale

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Questa volta la Fondazione intitolata allo scrittore di Maropati ha fatto conoscere un Fortunato Seminara inedito. Si tratta della commedia “L’eredità dello zio”, scritta tra il 1944 e il 1951. Da allora rimase negli archivi dello scrittore. Il prof. Erik Pesenti Rossi, docente di letteratura italiana presso l’Università di Mulhouse e componente del Comitato scientifico della Fondazione, ha curato la prefazione e la traduzione in lingua francese del volume, in edizione bilingue, italiana e francese.

La trama

«Verso la metà del XX secolo, il giudice Paolo Sarlo arriva in una grande proprietà terriera del Mezzogiorno d’Italia per liquidare la successione dello zio. Contro ogni attesa, scopre che questi regnava da tiranno sui contadini; si accorge inoltre che, per tentare di appropriarsi di una parte dell’eredità, numerose contadine dicono di avere avuto un figlio dal padrone. Scoraggiato davanti ad una società contadina di cui non riesce a decifrare i modi di ragionare, il giudice rinuncia a stabilire una verità definitiva. Contemporaneamente, un altro personaggio, segretario dello zio, detentore di molti segreti, svela le sue intenzioni. Appare, quindi, il vero significato politico e filosofico di questa storia».

La presentazione del volume

Un momento della manifestazione

Alla presentazione dell’opera, tenutasi a Polistena, nella moderna struttura teatrale “LSS” di Giuseppe Laruffa, il presidente della Fondazione Seminara, Giulio Ierace, ha sottolineato lo sforzo che lo stesso sodalizio sta compiendo per diffondere le opere e il pensiero dello scrittore maropatese. «Il nostro sogno – ha affermato Ierace – è quello di recuperare la casa del fondo rurale di Pescàno, che è stato il luogo più emblematico e caro di Seminara. Qui – ha continuato – vorremmo creare un centro culturale dove scrittori e artisti possano confrontarsi».  Nel porgere i saluti dell’amministrazione comunale di Maropati, il sindaco Fiorenzo Silvestro ha espresso gratitudine per il lavoro svolto dalla Fondazione.  «Oggi – ha detto – si è raggiunto un altro obiettivo importante, grazie anche al professor Pesenti Rossi, che è un riferimento insostituibile del comitato scientifico, così come va pure riconosciuto l’impegno del presidente Ierace che, con poche risorse, riesce a mandare avanti l’attività della Fondazione». La parola è poi passata al giudice Antonio Salvati. «Leggendo questo libro – ha esordito – sono stato sollecitato a riflettere sulla mia professione, trattandosi di una storia che riguarda un giudice. Io amo – ha aggiunto Salvati – gli autori meridionali che non si esauriscono nella tipizzazione locale e che riescono a parlare di tematiche universali, pur mantenendo le proprie radici. Seminara risponde perfettamente a questo requisito. Il volume che stiamo presentando oggi – ha evidenziato – ne è la prova». «Questo lavoro di Seminara – ha affermato nel suo intervento lo storico Oscar Greco – è collocato nell’immediato secondo dopoguerra. Sono gli anni della rivolta contadina, quando si mettevano in discussione anche i principi giuridici che regolavano la questione delle terre. Nella commedia è chiaro il fermento di quel periodo e si coglie, soprattutto, la preoccupazione dei proprietari terrieri. La questione dell’eredità, dunque, mette in luce i veri timori di quel mondo, che sente che quel terreno su cui si sono poggiati privilegi e sopraffazioni dei padroni sta sgretolandosi». Coinvolgente la testimonianza di Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, la professionista di Laureana di Borrello fatta scomparire anni addietro. «Qualcuno pensava di poter decidere per mia sorella – ha asserito Chindamo – ritenendo che ella fosse collocata in un’area sociale da cui non poteva uscire. Maria era ribelle, creativa, indipendente, per cui non poteva sottostare a certe “regole” che, spesso, segnano il destino di intere famiglie». La dolorosa vicenda di Maria Chindamo è stata ben raccontata dal fratello, offrendo spunti di riflessione su una mentalità che, in alcuni ambienti, ancora persiste pericolosamente.  L’incontro culturale è stato chiuso dall’attesa relazione del prof. Pesenti Rossi. «L’autore ha scritto nove pièces, dal ’33 al ’56, e sperava di fare una carriera teatrale. Questo – ha riferito il docente – è un testo che rispecchia un periodo particolare dello scrittore, perché si riferisce al tempo in cui è stato sindaco di Galatro. Nella commedia Seminara dà l’idea di una giustizia universale, che non è certamente quella delle istituzioni. Per questo motivo – si evince dal testo – ci vorrebbe un altro ordinamento. Ed è proprio da tale concetto che emerge la tematica della rivoluzione. In un primo momento Seminara aveva immaginato questa storia come un romanzo umoristico. In sostanza – ha proseguito il relatore – qui c’è l’atavico problema tra proprietari e contadini, tematica che l’autore ha conosciuto molto bene e che è presente in altre sue opere. Altro argomento che mi sembra importante – ha ancora detto il professore – è quello della vendetta tra contadini e padroni. Nella commedia il giudice Sarlo ha il compito di liquidare l’eredità dello zio, ma alla fine va via e lascia una situazione confusa, ambigua, una situazione pre-rivoluzionaria, propizia a qualsiasi eventualità. Un’altra questione che mi sembra importante – ha aggiunto – è quella della vendetta tra contadini e padroni. Insomma, il giudice Sarlo, che proviene dalla città, si trova di fronte ad una vicenda molto distante dalla sua cultura e dai sui costumi. E sono proprio la città, i libri, la cultura che, secondo i contadini, hanno rovinato lo stesso giudice». Tra un intervento e l’altro l’attrice Annalisa Insardà ha interpretato magistralmente alcuni brani della stessa commedia.

L’altra novità

da sinistra La Cava e Seminara

In autunno la Fondazione Seminara, insieme all’associazione “Caffè letterario Mario La Cava” di Bovalino, intende organizzare un convegno per la valorizzazione dei due scrittori e promuovere un dialogo ideale tra le due comunità. L’evento si svolgerà in due giornate, tra settembre e ottobre di quest’anno, nelle rispettive cittadine di origine dei due scrittori: Maropati e Bovalino. L’iniziativa, che vedrà ancora la partecipazione del prof. Pesenti Rossi,  consentirà di approfondire la figura dei due autori, mettendone in luce aspetti inediti, ed offrirà la possibilità di allargare il tema a tutta la letteratura calabrese e meridionale. «Amici, pressoché coetanei, laureati in giurisprudenza, con significative esperienze al di fuori della Regione – riporta una nota –  vi fecero poi ritorno  entrambi: la Calabria fu la principale fonte della loro scrittura, ma i loro libri ebbero, meritatamente, risonanza nazionale. E’ accertato, inoltre, che vi fu tra i due una intensa corrispondenza, anche se finora ne è venuta alla luce soltanto una piccola parte, nonché reciproche visite. Ebbero successo e soddisfazioni professionali negli anni immediatamente successivi al fascismo, ma furono, successivamente, trascurati dalla critica. Ma qui finiscono le affinità e le somiglianze…  Più composto e sereno, incline all’umorismo, La Cava, con un senso più drammatico della vita Seminara. Più attratto da Dostoevskij, Seminara, più da Tolstoj, La Cava».

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