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A tu per tu con Vincenzo Zappino

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E’ giovane ma con esperienza, calabrese ma cosmopolita, iperimpegnato ma simpatico e genuino. Lui è Vincenzo Zappino.

Gira il mondo, si occupa di turismo ma da una prospettiva orientata verso lo sviluppo economico e sostenibile. Ha tre bimbi e una compagna che vivono a Parigi e dai quali torna sempre con grande entusiasmo, carico di una nuova esperienza fatta magari in Sud America, una delle tante terre che ha arricchito dando quello che poteva, e che lo hanno migliorato interiormente, tra viaggi, aneddoti, conoscenze e tante soddisfazioni.

Sarà proprio Vincenzo a raccontarci il suo percorso, che parte da San Ferdinando e tocca tutti i continenti del mondo.

L’azienda con la quale lavora, Target Euro, con sede a Cosenza, nel 2007 è stata riconosciuta da Eurispes come “eccellenza d’Italia”, tra le migliori cento imprese della sua categoria in ambito nazionale.

Se ti si cerca su Google le parole chiave potrebbero essere Banca mondiale, cervello in fuga e progetti di sviluppo. Come ti ricolleghi tu a queste tre parole?
In realtà, la parola a cui mi ricollego di più è “progetti di sviluppo”. Infatti, negli ultimi 20 anni mi sono dedicato quasi esclusivamente a progetti di sviluppo in quattro continenti diversi.
Il mio primo lavoro con organizzazioni internazionali l’ho svolto con la Banca Mondiale in Azerbaijan. Paese che mi colpì molto nel 2002, quando ci passai quasi 3 settimane. A Baku, c’erano piccoli pozzi di petrolio nei giardini delle case. Praticamente gli abitanti non avevano bisogno di rifornirsi dal benzinaio, avevano il proprio davanti la porta di casa. A livello ambientale non era il massimo, ma credimi mi faceva ridere molto il fatto di vedere tanti piccoli pozzi di petrolio ovunque.
Da questo viaggio ne seguirono molti altri in tantissimi altri paesi, lavorando non solo con la Banca mondiale, ma anche e soprattutto con Nazioni Unite, Commissione Europea e Banca Interamericana di Sviluppo. Detto questo, non mi ritengo un cervello in fuga, semplicemente una pedina vagante da un paese all’atro, potremmo dire “là dove mi porta il progetto”. Il mio interesse lavorativo è saldamente in Italia ed io non faccio altro che esportare le nostre conoscenze all’estero. Considerami un “esportatore di idee”.

So di sicuro che sei di San Ferdinando ma mi pare ci sia anche qualche altra città di mezzo. Mi spieghi un pò le tue origini e cosa ti ha portato ad andare via e dove?
San Ferdinandese d’adozione. Sono nato a Sassuolo. Nel 1982, anno dei mitici mondiali, ci siamo traferiti a San Ferdinando. Mi ricordo ancora, era un caldo pomeriggio del 2 agosto 1982, arrivammo in macchina e uscendo dall’autostrada a Rosarno, lessi il cartello San Ferdinando scritto “a mano”.
Ho studiato a Bologna ma poi sono tornato per fondare con il mio socio la nostra società di consulenza. Il nostro primo progetto importante fu il Piano di Sviluppo e Marketing Turistico dell’allora nuova provincia di Vibo Valentia. Un bellissimo progetto che mi portò a percorre oltre 60mila km in un anno nella provincia di Vibo Valentia, attraversandola in lungo e in largo, scoprendo posti meravigliosi e insoliti e persone di grande valore culturale e intellettuale.
Poi, insieme al mio socio decidemmo che sarebbe stato meglio seguire più da vicino alcuni progetti e traferirmi a Bruxelles sarebbe stata una scelta strategica importante per stare vicino alle istituzioni europee, ma la verità è che non ho mai lasciato la Calabria, visto che mi riunisco quotidianamente con i miei colleghi dell’ufficio a Cosenza. Grazie alla tecnologia VOiP sono praticamente in ufficio. Oltre al fatto che più volte all’anno sono in Calabria.

In giro per il mondo ma il punto fermo è sempre lì: una compagna..e adesso tre bimbi. Come gestisci la cosa?..Anche se forse sarebbe meglio chiederlo a lei!

Semplicemente non la gestisco, però mi lascio piacevolmente travolgere dagli eventi. Behh, non è proprio così. Con tre bambini molto piccoli è un continuo esercizio organizzativo. A volte in due non è sufficiente, immagina quando devo partire per lavoro.

Mi spieghi come se lo facessi ad un bambino di 8-10 anni di cosa ti occupi?

Aiuto a sviluppare le destinazioni turistiche che, forse, visiterai tra qualche anno. Se sarai sodisfatta del posto e dell’esperienza vissuta, allora vorrà dire che il mio lavoro non è stato vano. È un lavoro molto interessante dove bisogna sempre discutere e mettere d’accordo un sacco di persone differenti. Però la parte più bella è quando devo visitare le attrazioni del territorio. Sai, per poter giudicare e aiutare bisogna sempre conoscere e vedere con i propri occhi e, quindi, ogni volta che vado in missione per lavoro, visito sempre, o quasi sempre, i posti più belli della destinazione turistica.
Potresti fare lo stesso lavoro in Italia o dall’Italia?
Posso lavorare da qualsiasi parte del mondo. Lo dimostra il fatto che la sede di Target Euro è a Cosenza, io lavoro da Parigi, viaggiando in continuazione, e i consulenti coinvolti nei vari progetti lavorano, spesso, da altre città italiane, europee o addirittura da altri continenti. Per lavorare ho bisogno di un buon aeroporto vicino casa e un’eccellente connessione internet. Con il mio socio abbiamo organizzato l’azienda in maniera da rispettare le esigenze d’internazionalizzazione richieste dai nostri progetti, combinando tecnologie, controllo rigido delle procedure e la giusta flessibilità organizzativa per dare libero sfogo al talento individuale di ognuno di noi. Spesso facciamo riunioni di lavoro con i nostri consulenti, collegandoci con 3-4 paesi differenti e parlando altrettante lingue differenti.
Cosa ti manca del tuo paese e da cosa scappi quando ci stai troppo tempo?
Questa domanda mi fa sorridere perché potrei rispondere che mi manca tutto e niente. Nel senso che viaggiando in oltre 50 paesi, mi sono reso conto che esiste una piccola Italia in ognuno di essi. Quello che però mi manca di più, diciamolo chiaro, è il rito del caffè espresso. Quando vivevo stabilmente in Italia, amavo andare al bar, bere un caffè al banco e leggere i titoli dei giornali. Un piccolo rituale che durava pochi minuti, ma mi affascinava. All’estero non esiste proprio il caffè al banco. Una tristezza infinita a cui devi aggiungere che, all’estero, il concetto di caffè espresso deve ancora essere interpretato nella giusta maniera.
Mi racconti delle esperienze o aneddoti legate a dei posti particolari in cui sei stato? Non parlo solo dal punto di vista lavorativo. Qualcosa che ti abbia segnato!
Ho centinaia di esperienze o aneddoti che potrei raccontarti, a cui devi aggiungere, a volte, piccole gaffe che mi hanno imbarazzato non poco. Tra le esperienze più simpatiche ricordo un progetto in Brasile a 400 km a nord di Brasilia.
Il viaggio, in macchina, fu già un’avventura. Dopo due giorni siamo finalmente arrivati sul luogo del progetto. Veniamo accolti dalle autorità municipali e dal rettore dell’università locale. Prima non capivo bene cosa volessero sviluppare nella loro offerta turistica, poi mi accompagnano direttamente in una gigantesca miniera di amianto, spiegandomi che per loro era amianto “buono”, ovvero non nocivo, e che volevano trasformare la miniera in attrazione turistica.
Ho passato l’intera giornata a spiegare che nella maggior parte dei paesi del mondo l’amianto è vietato perché cancerogeno e che sarebbe stato difficile sviluppare un prodotto turistico legato a questo attrattivo. Alla fine ho sventolato la “bandiera bianca”. Non si può pensare di sviluppare turismo in ogni dove, non è, come invece molti pensano, la panacea di tutti i mali.
Un’altra esperienza interessante è stata nella penisola di Santa Elena, a nord di Guayaquil in Ecuador, dove ci viene detto che molte famiglie del posto non avevano garanzie pensionistiche e, quindi, un modo per garantire una certa “assistenza” durante la vecchiaia era quella di educare un figlio maschio come una donna per occuparsi contemporaneamente dei genitori anziani e delle faccende di casa.
O ancora quella volta che a Punta Cana, in Repubblica Dominicana, dove ho avuto un incontro ravvicinato con una squalo. E a Sana Cruz, in Bolivia. Quando uscimmo per andare in un ristorante vicino e mangiare qualcosa e siamo stati fermati a due persone in macchina che ci sequestrano per circa 45 minuti.

Un calabrese Doc Vincenzo, con un accentuato senso della famiglia e del dovere. Un “dovere” che però fa con passione, assorbendo il meglio di luoghi, persone, concetti e culture, e trovandone una giusta collocazione nella propria vita.

Non un cervello in fuga dunque, ma un cervello girovagante, con la giusta proporzione di concentrazione tra lavoro, famiglia e terra madre. Elemento comune resta l’amore.

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