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Mosa racconta il suo sogno: “Vorrei che mia figlia ridesse la vita alla Siria”

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«Hai presente il “matto” che c’è in ogni città, quello che quando incontri per strada ti saluta? Ecco, mi manca, a me manca il matto della mia città. Mi manca la vita di tutti i giorni».

Adesso vive in Francia al sicuro con la moglie ed i tre figli, ma la Siria, Mosa, la porta nel cuore e la rivede ogni mattina appena si sveglia e si guarda allo specchio.

«Ai miei figli un giorno racconterò la mia storia, la loro storia. Racconterò di come un uomo è definito “persona” nel proprio Paese ma poi all’improvviso diventa profugo. Noi saremo per sempre profughi, e questa cosa mi fa un po’ male”.

Mosa ha 34 anni, è un profugo curdo siriano; é andato via dalla Siria perché la guerra gli ha portato via tutto: gli amici, i colleghi di lavoro, la casa. La vita. Quattro anni fa si è rifugiato in Turchia insieme alla moglie e al primo dei tre figli;intanto la famiglia di Mosa è cresciuta, in Turchia è arrivato il secondo figlio.

Due anni più tardi ha deciso di lasciare anche la Turchia, dove i curdi non sono ben accetti. Ha deciso di sfidare il mare, si è messo alla guida di una imbarcazione di fortuna a bordo della quale c’eran 40 persone, ed è arrivato in Grecia, sull’isola di Lesbo.

E’ stato a Idomeni prima e a Salonicco successivamente, in due campi di accoglienza, e lì ha conosciuto Enzo Infantino, attivista palmese da sempre impegnato in missioni umanitarie nelle zone di accoglienza dei profughi.

A Idomeni, dove mancava ogni forma di umanità, è stata concepita Kajin, la terzogenita di Mosa, e a Kajin è dedicato il libro di Enzo Infantino e Tania Paolillo dal titolo “Kajin e la tenda sotto la luna”.

Mosa adesso vive in Francia, a Montlieu-la-Garde, un piccolo paese non molto distante da Bordeaux, ed in questi giorni si trova a Palmi insieme al sindaco della città in cui vive, Nicolas Morassutti.

Ieri sera, alla cena di beneficenza che Enzo Infantino ha organizzato per raccogliere fondi da destinare alla famiglia di Mosa rimasta bloccata in Siria, Mosa ha raccontato al nostro giornale la sua storia.

Mosa, che ricordo hai della tua città prima dello scoppio della guerra?

Aleppo è la mia città d’origine; ho diversi ricordi confusi nella mia testa: ricordo la mia casa, la mia famiglia. Ogni mattina quando mi alzo e mi guardo allo specchio vedo tutto questo, che è tutto ciò che io ricordo.

Adesso sei al sicuro in Francia insieme alla tua famiglia; cosa provi quando vedi le immagini del tuo Paese distrutto dalla guerra?

La mia famiglia d’origine è rimasta bloccata ad Afrin, in Siria ed il mio pensiero va sempre a lei. Penso che in molte parti del mondo ci sono persone che vivono al sicuro, tranquille, ma la mia famiglia non può vivere così, perché si trova in un posto dove non c’è cibo né acqua, né medicine, dove si muore. A volte vorrei tornare lì per dare una mano, un aiuto, ma mia  madre mi dice di non farlo. Sono andato via dalla Siria non per salvare me ma per salvare mia moglie ed i miei figli.

Cosa provi quando senti il Ministro dell’Interno italiano dire che bisogna chiudere i porti e le frontiere?

Vorrei che l’Italia e l’Europa tutta riflettessero su una cosa. Chiudere le frontiere ai rifugiati non lo reputo un problema, siete liberi di decidere chi fare entrare nei vostri Paese. Ma perché non chiudete le frontiere ai terroristi? Perché li lasciate circolare liberamente in Europa? I rifugiati non sono terroristi, ci sono persone buone ed altre meno buone come in ogni Paese.

Qual è la tua speranza per il futuro del tuo Paese?

Vorrei molte cose per il mio Paese. Vorrei che i siriano stessero bene e che la Siria ritornasse come era prima, anzi meglio di prima. Mia figlia si chiama Kajin, che significa “dov’è la vita” e spero che da grande Kajin diventi un architetto e ridia la vita al mio Paese.

Ti manca la Siria?

Sì molto. Mi manca il mio lavoro, la mia casa, la mia vita di ogni giorno, la gente che mi saluta in strada. Sai, in ogni paese ci sono persone strane; ecco, mi mancano quelle persone. Mi manca ogni cosa del posto in cui vivevo. Sogno un giorno di alzarmi e tornare a fare il mio lavoro. 

Anche il sindaco di Montlieu-la-Garde ha risposto ad alcune nostre domande.

Sindaco, quale dovrebbe essere il ruolo di donne ed uomini politici in relazione alla questione dell’accoglienza dei migranti?

Penso che non si debba fare politica sulla questione dei migranti. Dobbiamo solo essere umani. È umanità, non politica. Ho accolto Mosa nella mia città come ho accolto altre famiglie provenienti dall’Africa. Loro avevano bisogno di aiuto e noi li abbiamo aiutati. Non è politica, ripeto, è umanità.

Come l’Europa dovrebbe aiutare i suoi Stati membri ad aaffrontare al meglio la questione dei migranti?

Bisogna lavorare di comune accordo, avere gli stessi intenti, ripartire bene i ruoli tra gli Stati che devono tutti collaborare allo stesso modo. Non è compito solo dell’Italia accogliere così tante persone ma è compito di tutti i Paesi membri.

Quali sono le politiche del governo francese in materia di accoglienza?

Se penso al fatto che abbiamo potuto accogliere Mosa e la sua famiglia dico che sì, le politiche di accoglienza in Francia ci sono e sono buone. Ma se penso ad altre situazioni dico che bisogna fare di più e meglio; i tempi per l’accoglienza e la sistemazione dei profughi sono troppo lunghi e dobbiamo cercar di renderli più brevi. 

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