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Libertà e regole tra musica e diritto secondo Sabino Cassese

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Il connubio tra musica e diritto si è indissolubilmente consolidato nella sessione inaugurale del Festival Nazionale di Diritto e Letteratura Città di Palmi intitolata “Libertà e regole tra musica e diritto“.

Al CineTeatro Manfroce di Palmi, la mattina di venerdì 19 aprile, davanti a una platea gremita di spettatori e di studenti, il professore Sabino Cassese, docente di diritto pubblico ed economia e diritto amministrativo, editorialista, già giudice della Corte costituzionale e già ministro della funzione pubblica tra il 1993 e il 1994, nonché appassionato di musica, è stato ospite d’onore da remoto, trattando una relazione sulle Variazioni Goldberg di Bach e sulle analogie tra musica e diritto.

Queste ultime sono intese dal giurista come un rapporto triangolare.

«Proprio come accade nella musica con autore o compositore-esecutore-ascoltatore, anche nel diritto c’è un legislatore, un interprete e un cittadino che esegue la legge, la mette in pratica», ha esordito Cassese. 

Il tema dominante della relazione guidata dal professore, dal titolo “Interpretazione musicale e interpretazione giuridica: Variazioni sulle Variazioni Goldberg“ è stata alternata dalle esecuzioni dal vivo delle stesse Variazioni che il giurista ha chiamato metamorfosi e che sono considerate tra le più alte sperimentazioni mai realizzate da Bach.

Le “trasformazioni in musica” sono state eseguite, con grande coinvolgimento del pubblico, dal Maestro Daniele Ciullo, docente di pianoforte e pianista concertista in contesti internazionali; si esibisce sia in formazioni di gruppo che musica da camera, che da solista. 

Il professore Cassese ha eviscerato cinque temi: le analogie tra musica e diritto; parlare del protagonista Johann Sebastian Bach come artista e scienziato della musica; parlare delle Variazioni Goldberg; spiegare il contesto nel quale le Variazioni nascono; l’ascoltatore della musica e il destinatario delle norme.

Nel primo punto, il giurista ha messo in luce come possano esistere, sia per la musica che per il diritto, possibilità di interpretazione, così che l’applicazione delle norme non renda meccanico il lavoro dell’esecuzione delle leggi. Interpretare significa riprodurre, ogni interprete deve riprodurre le note e applicare le norme. Il compositore detta istruzioni all’esecutore così come il codice civile detta istruzioni all’interprete. 

Il legame tra musica e diritto ha fatto poi, nella sessione moderata dal magistrato Ilario Nasso, un salto temporale, passando da Bach alla poesia dei nostri cantautori che nelle loro canzoni hanno espresso umanità per gli ultimi, gli indifesi e gli imputati di qualche crimine. A raccontarci questi aspetti, con l’occhio del giudice attraverso le canzoni si specchia nei bassifondi del mondo, i magistrati Gaspare Spedale e Claudio Paris, entrambi molto legati alla musica e alla città di Palmi. 

Spedale, nel suo intervento “De André e il dito più lungo della mano”, ha raccontato del suo “amore non corrisposto” per il cantautore genovese. Spedale ironicamente è entrato nei testi di De André che condannano la sua stessa categoria. «De André viveva i bassifondi – ha raccontato il magistrato – era un abitante di questi luoghi, raccontava episodi, eventi e circostanze che potrebbero dare scandalo. Nella canzone “Delitto di paese“ De André si concedei un lusso che a noi del diritto penale non è permesso, quello di guardare nel cuore degli assassini. Essi vanno a rovistare nella casa del morto per cercare il denaro ma constatano che era solo un uomo che amava, si inginocchiano piangendo.«Bisogna sempre cercare di difendere l’autonomia dei giudici rispetto ad altri poteri, è con singole riforme che si trova a giudicare solo chi potere non ne ha, gli ultimi. Questo non è un problema di rapporti tra giudici e politica, ma anche vostro, come dice De André ne “La canzone del maggio” provate pure a credervi assolti/Siete lo stesso coinvolti», ha concluso Gaspare Spedale.

Altro cantautore dalla profonda umanità era Lucio Dalla; il tema “Un desiderio in gabbia: Detenzione e diritto alla sessualità tra Lucio Dalla e la Corte Costituzionale” è stato affrontato dal magistrato Claudio Paris. «Una sentenza della Corte Costituzionale del gennaio di quest’anno ha sancito l’incostituzionalità dell’articolo 18 della legge del 26 luglio del 1975 n.354 nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere confronti anche con il partner senza il controllo a vista del personale di custodia; non c’è una norma che prevede esplicitamente il divieto però è chiaramente un sistema che prevede un colloquio sotto un controllo visivo della polizia penitenziaria».

Ben 50 anni prima, nel 1971, Lucio Dalla scriveva “La casa in riva al mare” dove descriveva lo slancio affettivo probabilmente di un ergastolano, che guardava dalla finestra della sua cella una donna di cui non conosce la storia, a cui è attribuito nome di Maria e quindi immagina di poterla sposare con un anello al dito. «Lucio Dalla guarda con umanità a questa sofferenza ha affermato Paris – chiaramente non immaginava che 50 anni dopo la Corte Costituzionale potesse introdurre un principio rivoluzionario».

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